Il passo sommesso, quasi smorzato, quasi a non voler disturbare, sulla strada che ancora mostra chiazze ghiacciate e che conduce dritto alla catastrofe dell’Hotel Rigopiano. Sono passati due mesi da quel funesto pomeriggio del 18 gennaio, quando una valanga si è abbattuta sul resort da fiaba, adagiato ai piedi della montagna, facendolo a pezzi. Devastandolo. Erano in 40 nell’albergo, tra clienti e personale: 29 sono stati uccisi, sepolti da slavina e detriti. Undici i superstiti, tra loro quattro bambini.

SESSANTA GIORNI DOPO, via il muro di neve, ecco la fiaccolata della memoria. Sono in migliaia, con una sola volontà: ottenere giustizia, e in fretta. L’iniziativa è stata promossa, tra gli altri, dal Comune di Farindola (Pe), luogo della sciagura. «Siamo qui – afferma il sindaco, Ilario Lacchetta – a pregare per le vittime e per essere al fianco dei loro familiari. La nostra è una comunità sotto shock, ma dobbiamo lavorare per fare ripartire questa terra; lo facciamo con la condivisione del dolore e stando vicino a chi ha perduto i propri cari». Presente anche il vescovo della diocesi Pescara-Penne, Tommaso Valentinetti.

DUE CHILOMETRI E MEZZO circa da percorrere, torce accese, fino al posto del dramma. Quel giorno la via era nascosta da una caterva di neve: impossibile il transito; di turbine neppure l’ombra; l’albergo diventa trappola senza scampo.

Un disastro che ha sconvolto l’Italia e che ha tenuto tutti con il fiato sospeso, abbarbicati all’ultima speranza. «I nostri angeli meritano giustizia. Noi la chiediamo per loro», recita uno striscione. Sulle cause della sciagura, sulle responsabilità, sulle mancate allerte, su quell’edificio sorto in area a rischio, sui ritardi nei soccorsi, c’è un’inchiesta della magistratura di Pescara per omicidio e disastro colposo plurimo.

E sembra che a giorni saranno recapitati i primi avvisi di reato. «Giustizia ritardata è giustizia negata. Tedeschini non ci abbandonare», si legge su un altro striscione. Già perché uno dei pm titolari dell’inchiesta, Cristina Tedeschini, che sta conducendo le indagini assieme al collega Andrea Papalia, sta per lasciare gli uffici giudiziari di Pescara, per andare a guidare la Procura di Pesaro.

TRA I PARENTI DELLE VITTIME, con sindaci e amministratori dei centri colpiti dal lutto, c’è Massimiliano Giancaterino, ex sindaco di Farindola, e fratello di Alessandro, cameriere deceduto sotto le macerie. «Sono rimasto indeciso fino all’ultimo – dichiara – Poi sono venuto, anche per non lasciare sola mia madre. La realtà è che 29 vite sono scomparse in quel posto: avevano fatto e facevano sacrifici quotidiani, con impegno e generosità. Quello che è accaduto, anche per il numero delle vittime, può essere paragonato alla tragedia della Costa Concordia».

GERBERE BIANCHE, soprattutto: ognuno ha un fiore tra le mani. E anche la foto di chi non c’è più. «Abbiamo perso una parte del cuore, dei nostri sogni». Piange il papà di Marinella Colangeli: aveva 30 anni ed era di Farindola, e responsabile della struttura benessere dell’albergo: «Nel nostro strazio – riflette – siamo amareggiati perché abbandonati da tutti. Vogliamo che venga fatta giustizia, perché bastava poco per salvarli. Bastava una turbina per liberare la strada. Loro erano pronti per partire e invece nulla».

In prima linea anche Gianluca Tanda, fratello di Marco, pilota 25enne della Ryanair originario di Gagliole (Macerata) deceduto insieme alla fidanzata Jessica Tinari, originaria di Lanciano ma che abitava a Vasto (Ch).

«ABBIAMO VOLUTO questa fiaccolata – fa sapere – per unirci in un’unica voce. Ci siamo incontrati e abbiamo costituito anche il Comitato delle vittime, che vuole verità e giustizia». Lui è stato nominato presidente; vice è Egidio Bonifazi, mentre Antonio Trotta e Antonio Tinari avranno funzioni di segretari e tesorieri.

Intanto il Comune di Loreto Aprutino (Pescara) ha istituito un conto corrente in favore degli orfani della tragedia. «Un piccolo segno di vicinanza», dichiara il sindaco Gabriele Starinieri.