«Vorrei solo aver portato con me una mezza dozzina di chitarre in modo che alcuni dei musicisti anziani che abbiamo incontrato e che non suonavano da alcuni anni, avessero nuovamente l’opportunità di avere uno strumento tra le mani». Così si esprime un dispiaciuto Chris Strachwitz in un articolo a sua firma pubblicato nella newsletter di International Blues Record Club. Dietro l’acronimo IBRC, si celava niente altro che un minuscolo servizio di vendita per posta di dischi nella zona di Berkeley, California, gestito proprio da Strachwitz. L’umore costernato delle righe in cui esprime un sincero rincrescimento, è per certi versi la sintesi del pensiero del grande folklorista morto lo scorso cinque maggio all’età di 91 anni nella sua casa a Marin County, nella Bay Area di San Francisco. Etnomusicologo non di nome ma di fatto, come altri della sua generazione, Strachwitz ha lasciato il segno in modo indelebile immergendosi nella cultura popolare, senza dover ricorrere alle cattedre universitarie. Le sue attività di registrazioni sul campo, l’impegno come produttore con la storica etichetta discografica Arhoolie, l’organizzazione di concerti e festival, sono stati un naturale sviluppo della sua esplicita volontà di scandagliare comunità e territori che, nel secondo dopoguerra statunitense, erano reietti e dimenticati dai governi e dall’opinione pubblica dominante. Il tutto, andando ogni volta in caccia di qualcosa di nuovo. Non casualmente, il soprannome «song catcher», il cacciatore di canzoni, lo ha accompagnato per buona parte della sua esistenza.

IL VIAGGIO
Le righe di cui sopra, oltre a risultare alle cronache come parte di un mero bollettino informativo per gli acquirenti dei vinili, narrano in realtà ben altro. Sono parte di un entusiasmante racconto che vede Strachwitz partire da Berkeley durante l’estate del 1960, per intraprendere il viaggio della vita, con il quale, inanellando varie tappe nel Deep South statunitense, incontrerà bluesmen che cambieranno la sua esistenza e quella di coloro che almeno una volta, in ogni angolo del mondo, si sono appassionati alle registrazioni della Arhoolie Records. Il giovane «song catcher», nato nella zona rurale attorno a Berlino il primo luglio 1931 e poi emigrato con l’intera famiglia di origine aristocratica in Nevada nel 1947, lasciò Berkeley a bordo di una vetusta ma affidabile Plymouth del 1951, con l’intenzione di andare a cercare in Texas il suo eroe musicale Lightnin’ Hopkins. Andò meglio di ogni possibile aspettativa: durante il lungo peregrinare nel sud, amici poi diventati icone dell’etnomusicologia mondiale nel country e nel blues come Bob Pinson, Mack McCormick, Harry Oester e Paul Oliver, furono suoi compagni di viaggio. Girovagando tra Texas, Louisiana, Tennessee e Mississippi oltre il suo amato Hopkins, Strachwitz tra i tanti incontrò e registrò artisti come Sam Chatman dei Mississippi Sheiks, il pianista Jasper Love, il bluesman rurale Lil’ Son Jackson, il cantante e chitarrista lap steel Black Ace, il fenomenale duo composto da Butch Cage e Willie «Preacher» Thomas, il gruppo bluegrass The Hodges Brothers ma soprattutto Mance Lipscomb. La seduta di incisione che Strachwitz e McCormick realizzarono a Navasota, Texas, divenne lo storico primo album della Arhoolie intitolato Texas Sharecropper and Songster. La storia dell’incontro con Lipscomb è degna di una sceneggiatura cinematografica che, partendo dalla canzone Tom Moore’s Farm, mette assieme Texas Alexander, Lightnin’ Hopkins e lo stesso Lipscomb. Questa canzone, che racconta di come la piantagione del bianco Tom Moore fosse un luogo dove la vita dei neri contava meno di zero, portò i due ricercatori a incontrare proprio il titolare, il razzista Moore. E a seguire, Lipscomb. Il quale, durante la registrazione dell’album, chiese esplicitamente a Strachwitz di non incidere Tom Moore’s Farm in quanto avrebbe potuto comportargli dei problemi molto seri. Chris di contro rispose che la avrebbe registrata ma senza includerla nel disco, in quanto era interessato ad averla nel corpus generato dalla sessione. Il rispetto della parola data è sempre stato un punto di forza del modus operandi di Strachwitz, circostanza riconosciutagli nel tempo da innumerevoli musicisti. Testimonianza di peso in tal senso è quanto, più volte nel corso degli anni, ha ribadito la star dello zydeco Clifton Chenier, il quale riconosceva a «song catcher» la veridicità delle sue affermazioni: era un uomo di parola, convinzione sostenuta dal fatto che i dischi e i proventi da questi derivanti tornavano effettivamente nelle mani dei musicisti.

«EL FANÁTICO»
La relazione tra Chenier e Strachwitz fu lunga e profonda. Alcune meravigliosi esempi si rintracciano nelle interviste tenute da Chris presso l’emittente KPFA-FM di Berkeley tra il 1971 e il 1978, all’interno delle quali il re dello zydeco diventa un perfetto narratore di ogni aspetto della cultura musicale della Louisiana di cui era portatore, grazie alla forte empatia con l’amico in conduzione. Il quale non aveva di certo smesso di percorrere in lungo e largo tutto ciò che era posto ai confini degli States. Come ricordava anche Ry Cooder qualche anno fa, oltre che essere definito come cacciatore incallito di nuove canzoni, da un certo momento in poi della sua multiforme esperienza professionale, Strachwitz venne ribattezzato anche «El fanático de la música norteña»: facile desumere il perché. A tal proposito, imperdibile è un ottimo documentario proposto dalla Smithsonian Folkways (la quale, va ricordato, ha acquisito per intero la Arhoolie nel 2016), dove in modo magistrale è riassunto questo lato della ricerca di Chris. Il quale dal 1970 a seguire, scandagliò la realtà musicale tex-mex esistente e fuori da ogni circuito commerciale e culturale che non fosse prettamente locale. Nel mediometraggio della Folkways, si parla apertamente di un’opera da non perdere datata 1976, vale a dire il film documentario Chulas fronteras girato da Les Blank assieme a Chris Strachwitz, in cui i due fanno magistralmente il punto sulla scena musicale del conjunto, stile rintracciabile nel Texas meridionale: non casualmente la pellicola venne girata in buona parte nella città di San Antonio. Emergono nomi impressi nella storia della musica norteña, Lydia Mendoza e Flaco Jimenez su tutti. Ma vi è spazio e relativa presenza a metà tra poesia e ricerca sul campo, anche per calibri da novanta come Santiago Jiménez Sr. e Jr., Los Pingüinos del Norte, Los Alegres de Teran e Salomé Gutiérrez. Da notare che ad accompagnare i due titolari del documentario, fu un attivo e partecipe Ry Cooder. A riconoscere a Strachwitz l’immenso valore di quanto realizzato, sono stati decine di musiciste e musicisti, tra cui Taj Mahal.
Imperdibile per non tralasciare nessun anfratto del valore dell’immensa opera di Strachwitz, è This Ain’t No Mouse Music!, altro documentario di 92 minuti firmato da Chris Simon e Maureen Gosling, i quali nel 2014 hanno ribaltato la prospettiva di Chris, ponendolo come protagonista al centro di una narrazione, attraverso le tante voci da lui fatte emergere grazie ai dischi della Arhoolie.