Alla maggior parte dei lettori italiani il nome di Chris Paling suona con ogni probabilità sconosciuto. Nonostante abbia al suo attivo una decina di libri e abbia firmato numerose fiction per la BBC, di questo scrittore britannico sessantacinquenne è stato tradotto nel nostro paese solamente un romanzo, Il pittore che visse due volte (in originale Nimrod’s Shadow), uscito una prima volta per Newton Compton nel 2011 e poi in edizione economica l’anno successivo. Se oggi ne parliamo, però, non è per quel testo – «un grande thriller», a voler credere allo strillo in copertina – ormai fuori catalogo e reperibile solo di seconda mano, ma per il suo ultimo lavoro, approdato in questi giorni nelle librerie britanniche per Constable: A Very Nice Rejection Letter: Diary of a Novelist, ovvero «Una bellissima lettera di rifiuto. Diario di un romanziere».

Di cosa si parli nel libro, è chiaro già dal titolo (e possiamo notare incidentalmente che il genere letterario del rifiuto editoriale non è nuovo in Italia, da Antonio Moresco in giù). Comunque, per evitare ogni dubbio, Paling ha pubblicato sul Guardian un articolo la cui lettura va consigliata a scrittrici e scrittori convinti che l’agenzia letteraria cui si sono affidati non si occupi di loro con la necessaria solerzia.

È successo anche allo stesso Paling, naturalmente, e la frustrazione è stata tale da spingerlo a un’azione di cui oggi si dichiara pentito. Nel 2014 infatti, dopo avere tentato invano per mesi di ottenere una risposta riguardo al suo ultimo romanzo, lo scrittore ha mandato alla sua agente Deborah Rogers – poi morta e oggi, parrebbe, molto rimpianta – una lettera rivolta a lui stesso, chiedendole «di barrare la risposta appropriata: ‘romanzo letto’, ‘il romanzo ha bisogno di una revisione’, ‘romanzo presentato a un editore’, ‘romanzo venduto per a: 1.000 sterline, b: 10.000 sterline, c: 100.000 sterline’». Un gesto «imperdonabile», lo definisce oggi lo scrittore, ma a quanto pare risolutivo: nel giro di pochi giorni il libro ha miracolosamente trovato un editore «per una somma decente», guadagnandosi poi «un po’ di recensioni decenti e un po’ di vendite», non si sa quanto decenti.
Spinto forse da una sorta di tardiva riconoscenza, Paling sostiene – forzando lievemente la mano – che «gli scrittori hanno bisogno degli agenti più di quanto gli agenti abbiano bisogno degli scrittori». E sottolinea come spesso gli agenti siano stati capaci di stringere con gli autori un rapporto affettivo e non solo economico: è il caso per esempio di James Brand Pinker che per Joseph Conrad fu «confidente, agente di viaggio, spalla su cui piangere» e che «sostenne lo scrittore, mandandogli un assegno ogni settimana e gestendo di fatto gli affari della sua famiglia».

Ma gli agenti non sono tutti angeli custodi. Nella galleria di incontri su cui ha costruito il suo ultimo libro, Paling ne cita uno «famoso per avere due numeri di cellulare: il primo per i suoi clienti megaselleristi, il secondo per gli altri», aggiungendo che solo a una delle linee (inutile precisare quale) viene data una risposta certa. Consapevole di essere escluso dalla categoria dei fortunati, Paling (dopo avere deciso di non rivolgersi a quell’agente) ha preferito fare di necessità virtù, ricavando un libro dalle sue esperienze e appellandosi al valore terapeutico del rifiuto.
Del resto, prima di lui è arrivato alla stessa conclusione un grande autore del ventesimo secolo, Saul Bellow, oggi meno conosciuto e letto di quanto meriterebbe: «I rifiuti insegnano a uno scrittore ad affidarsi al proprio giudizio e a dire in cuor suo: ‘Al diavolo’». Il problema è che a dirlo oggi, in tempo di social, ci vuole un gran coraggio.