«Time to raze the Sorbonne», ovvero: (è) tempo di radere al suolo la Sorbona. Fra quanto letto alla morte del francese Chris Marker – grande scrittore, eccezionale fotografo, inventivo redattore editoriale presso Seuil e molto altro ancora, ma per la maggior parte di tutti, autore di cinema – questo commento sembra forse uno dei più belli, al di là delle prime possibili impressioni. Spieghiamo. È stato scritto da un utente di uno dei migliori siti dedicati proprio a Marker, Notes from the Era of Imperfect Memory (www.chrismarker.org) e si può leggere sotto al post “Speechless”, un breve comunicato che segnala la morte dell’artista francese, avvenuta il 29 luglio scorso. Nella sua lampante provocazione, ironica e malinconica, è una frase la cui spiegazione cela dell’altro, un implicito rimando a una ben altra frase-provocazione, questa volta detta anni fa da uno dei più grandi scrittori del Novecento, il francese Henri Michaux, a proposito dell’opera dell’autore de La Jetée: «Bisogna radere al suolo la Sorbona e mettere Marker al suo posto!». Una affermazione che vale tutt’oggi, nel rivendicare non solo l’unicità di un’arte come insieme di particolari atti e oggetti, ma soprattutto l’unicità di un lavoro da intedersi come esplorazione e scoperta di un determinato e continuo sapere sul mondo, articolato in diversi campi, dove la memoria sociale funge da modo di accesso privilegiato.

Una prova valida al supporto di questa tesi può certamente essere la recente uscita editoriale di Chats perchés e altri (Ripley’s Home Video, euro 16, 99), dove per la prima volta in Italia, in una prodotto per la vendita, in due dischi dvd, oltre al mediometraggio più noto, Chats perchés (2003), sono raccolti i cortometraggi Théorie des ensembles (1990), Trois vidéos Haikus (1994), E-clip-se (1999), La sixième face du Pentagone (1967), L’Ambassade (1973), Casque Bleu (1995), più la presenza di un intervento video straordinariamente preciso di Enrico Ghezzi. Come edizione, è una operazione importantissima per gli studiosi e appassionati italiani di Marker, meritoria per la Ripley’s Home Video e non nuova per loro, dal momento che nel 2007, pubblicarono in Italia per primi, e sempre nella medesima formula, tre film del nostro (di cui due sono probabilmente fra i suoi film più conosciuti), La Jetée, Level Five e Sans Soleil – una operazione di cui val la pena anche ricordare la collaborazione di Marco Dinoi, talentuoso studioso morto troppo presto, il cui libro Lo sguardo e l’evento, nel caso non lo si conoscesse, pieno com’è di pagine notevoli dedicate all’opera del francese, merita senza meno la lettura.

Ora, oltre a essere esemplare in un senso generale, la selezione dei film di Marker qui presentata è assai interessante anche per come può aiutare a delineare più nei dettagli alcuni aspetti importanti del suo modus operandi, quantomeno nei termini di alcuni dei suoi motivi più ricorrenti. Un primo motivo è senza dubbio l’interesse verso il mondo animale, le cui immagini accompagnano da sempre l’opera markeriana: «And always the animals/ from each trip/ you bring back/ a gaze/ a pose// a gesture/ that points/ to the truest of humanity/ better/ than images/ of humanity itself», come si legge in una delle “zone” di Immemory, il cd-rom realizzato da Marker nel 1998, una sorta di rivisitazione tecnologica dell’arte della memoria in chiave autobiografica. Nel suo cinema (e non solo) gli animali sembrano sempre essere investiti di un forte valore culturale supplementare, e fra questi animali c’è sicuramente il gatto, tanto da pensarlo – grazie anche all’avatar del suo di gatto, Guillaume-en-Egypte, creato nel 2009 per i lavori in machinima – come una sorta di totem antropologico dell’autore. Oppure, se si vuole, come una specie di suo “genius familiaris”. In Chats perchés, la presenza felina (Monsieur Chat) appare ovunque. In alto, in basso, su muri e tetti di Parigi, anche nei cortei politici, fra la gente, fra gli slogan e persino in televisione (dunque, in ogni luogo davvero), in diverse pose e situazioni, mentre il film ci restituisce squarci della vita della capitale francese agli inizi del terzo millennio, in concomitanza di diversi eventi, come le manifestazioni contro la guerra in Iraq dopo l’attentato dell’11 settembre, oppure le presidenziali del 2002, dove l’estrema destra francese lepenista ottenne un gran numero di voti. Tra l’animale col suo sorriso sornione à la Lewis Carroll e i luoghi della sua apparizione in città ci deve essere un legame segreto – sembra suggerirci il francese lungo tutto il corso del film – cioè qualcosa di profondo, che se si vuole si può interpretare come simile a quello che nella cultura romana doveva essere il legame tra “genius loci” e i luoghi dedicati allo specifico “genio”, ai fini del mantenimento di una determinata relazione simbolica o mitica. Comunque, a ogni modo, oltre al gatto, in Chats perchés e altri (disco 1) non mancano – appunto – altri animali, tanto da formare un ideale bestiario o popolo, come in Théorie des ensembles, dove Marker in modo giocoso e inventivo pone l’accento sul rapporto tra animali e linguaggio, avvicinadosi anche qui ad un ulteriore aspetto importante del totemismo. Oppure, come in E-clip-se e Trois vidéos Haikus, i quali condividono assieme al cortometraggio precedente la presenza di quello che è indiscutibilmente il secondo animale-feticcio markeriano dopo quello felino, cioè la civetta.

Il secondo motivo ricorrente dal “corpus” dei film raccolti in questa selezione è senza dubbio il tema della storia, da sempre molto caro a Marker, e declinato in almeno tre aspetti fondamentali (lo si ritrova in ambo i dischi, ma specialmente nel disco 2): come attualità, nella flânerie di Chats perchés, uno sguardo sostanzialmente in continuità con l’oggi; come testimonianza, nel racconto di uno dei tanti “anonimi” protagonisti della storia, il soldato di Casque Bleu, relativamente alla guerra in ex-Jugoslavia; come archivio, se si pensa a cosa il francese restituisce al presente in La sixième face du Pentagone, cioè la marcia di protesta dei giovani statunitensi avvenuta nel 1967 contro la guerra del Vietnam,oppure alla eccezionalità di un “documento” come L’Ambassade, film in Super8 che – appunto – documenta la permanenza momentanea nello spazio di una ambasciata di alcuni dissidenti in seguito al colpo di Stato di Pinochet in Cile dell’11 settembre 1973, fino ad un finale rivelatore. In tutti i casi, storia e antropologia storica sembrano intersecarsi nel profondo, e quantomeno affermare due certezze, ovvero l’interesse di Marker verso alcune forme della soggettività collettiva e discapito dell’ “io”, cioè il “noi” e il “loro”, e una sentita vicinanza all’osservazione emica della storia, cioè il più possibile vicina, aperta e antropologicamente solidale al punto di vista degli attori sociali direttamente coinvolti negli eventi.

Il terzo motivo che ricorre in Chats perchés e altri è il digitale. Ghezzi ne sottolinea l’importanza, nel suo intervento, l’extra ai film (disco 1): «Quando arriva poi la grande esplosione […] del digitale, lui non è che sia già pronto, è già lì. Perché quello che mancava in qualche modo a Marker era il digitale, il poter girare “le mille vite di un dottor x” girate da un Mabuse digitale leggero». Più nello specifico, digitale qui vuol dire video e informatica (grafica), dispositivi a misura d’uomo di cattura e rielaborazione di immagini, dominanti nell’ultima fase della produzione del nostro, stando anche a quanto scrive di sé in suoi libri come in quel magnifico volume di fotografie e scritti che è Staring Back: «I traded film for video and video for the computer». Nella selezione di Chats perchés e altri, sotto la voce video possiamo inserire tutti i film, eccetto La sixième face du Pentagone e, come anticipato, L’Ambassade. Del video stesso poi ne possiamo rilevare alcuni usi, una ottimizzazione della registrazione della quotidianità (come in Chats perchés e E-clip-se), una capacità di penetrazione psicologica più profonda (come in Casque Bleu), una possibilità di sperimentazione inedita (come in Trois vidéos Haikus). È però nel film d’animazione Théorie des ensembles che, al di là delle apparenze, sembra presentarsi qualcosa in più, tracce di una prefigurazione del lavoro successivo e per certi versi più avanzato svolto da Marker. Originariamente parte di un progetto più vasto, una istallazione dedicata alla “televisione immaginaria” dal titolo Zapping Zone, il corto è una della prime prove dove l’autore si sia cimentato con “il computer secondo Apple”, lavorando in studio, sfuttando software e scanner. In fondo, lo si può vedere e leggere come uno dei primi tentativi di recupero, da parte del francese, attraverso mezzi contemporanei, di qualcosa di molto, molto antico: l’immagine come pittogramma.