Liberarsi dal gas russo o liberarsi dal gas? Con la guerra in Ucraina e i prezzi di gas e petrolio fuori controllo, la transizione energetica è giunta ad un bivio. Il governo può scegliere di accelerare fortemente lo sviluppo delle fonti rinnovabili, con il duplice obiettivo di garantirsi indipendenza energetica e taglio delle emissioni di CO2, come chiede Elettricità Futura (Confindustria), il salotto buono dell’impresa elettrica italiana, pronto a investire 85 miliardi nei prossimi 3 anni per tagliare il 20% delle importazioni di gas. Oppure può imboccare la via di nuovi investimenti sui rigassificatori, di incrementi della capacità produttiva a carbone, dell’estrazione del gas nazionale, e via con le fonti fossili, senza progressi verso la riduzione strutturale della vulnerabilità energetica, con passi indietro nel processo di decarbonizzazione, rischiando investimenti che in pochi anni potrebbero diventare stranded assests, ovvero beni «incagliati», che si svalutano perché superati.

La richiesta di Elettricità Futura di autorizzare subito impianti di fonti rinnovabili per 60 GW di potenza da realizzare nei prossimi 3 anni con un investimento di 85 miliardi di euro servirebbe a tagliare del 20% le forniture di gas russo. Secondo i calcoli di Elettricità Futura, i 90 TWh di energia elettrica rinnovabile che si potrebbero produrre con i 60 GW di impianti costerebbero 6 miliardi al prezzo delle ultime aste del GSE di 65€/MWh, mentre oggi, con il prezzo del gas alle stelle (il Prezzo Unico Nazionale è sui 450€/MWh) il costo è 41 miliardi. Inoltre, altri studi di settore indicano anche una forte riduzione dei costi degli impianti fotovoltaici (-77% rispetto al 2014) ed eolici (-49% rispetto al 2014).

Per scongiurare gli effetti di una ipotetica chiusura dei rubinetti da parte della Russia – ma per ora il gas continua a fluire – il governo sta correndo ai ripari firmando nuovi contratti di forniture di gas che arriverà attraverso i metanodotti che ci collegano ad Algeria, Libia e Azerbaijan e valutando la possibilità di creare nuovi rigassificatori (si torna a parlare di Porto Empedocle, ma anche di Gioia Tauro) per aumentare gli acquisti di Gnl, il gas naturale liquefatto che può essere trasportato con le navi metaniere da qualsiasi parte del mondo, anche dagli Stati Uniti dove si produce prevalentemente shale gas che si estrae con il metodo molto inquinante della fratturazione idraulica (fraking).

SECONDO GLI ESPERTI DI ECCO, un think tank italiano indipendente su clima ed energia, per mettere in sicurezza il paese non servirebbero nuovi rigassificatori, sarebbe sufficiente sfruttare al massimo quelli che abbiamo. Nel report «Come dimezzare la dipendenza dal gas russo con risparmio e rinnovabili» scrivono che «il grado di utilizzo dei 3 rigassificatori italiani (Livorno, Rovigo e La Spezia) ha ancora un margine di aumento di circa il 20% rispetto all’utilizzo del 2020 (dati Arera». I tre impianti sono localizzati al Centro-Nord, quindi averne uno, o più di uno, al Sud può fare comodo a diversi settori produttivi. Sono sottoutilizzati anche i gasdotti non russi di Passo Gries, Mazara del Vallo e Gela (16%, 24% e 45% rispettivamente nell’anno 2019-2020).

«La politica degli ultimi 4-5 governi italiani ha puntato a voler fare dell’Italia un vero e proprio hub europeo del gas – spiega Luca Iacoboni, responsabile delle politiche nazionali di Ecco – e questo ci ha resi estremamente dipendenti da questa fonte e quindi vulnerabili. Per questo noi sosteniamo che è urgente un cambiamento strutturale delle politiche energetiche. L’obiettivo non è sopravvivere a una possibile crisi per un taglio delle forniture del gas russo, ma eliminare progressivamente l’utilizzo del gas che è stata la fonte di transizione dal 1990 al 2000 e oggi non può più essere considerata tale oggi anche per questioni di sicurezza, oltre che per affrontare la crisi climatica».

OGGI E DOMANI AL VERTICE INFORMALE dei capi di stato di governo convocato a Versailles si discute la Comunicazione della Commissione europea REPowerEU: azione congiunta per un’energia a buon mercato, sicura e sostenibile, anticipata nei giorni scorsi al Parlamento europeo. Per affrontare la crisi energetica l’UE chiede di diversificare le fonti di approvvigionamento, utilizzare più Gnl, più biometano, aumentare la produzione da rinnovabili velocizzando le autorizzazioni degli impianti e di migliorare l’efficienza energetica. «Nel concreto, questa Comunicazione propone di sostituire la dipendenza dal gas russo con la dipendenza dal gas di altri paesi, mentre non ci ho trovato nessuna azione prioritaria mirata all’efficienza energetica. Ogni punto percentuale di aumento dell’efficienza energetica fa diminuire del 2,6% il consumo di gas, oltre a creare posti di lavoro e contribuire alla salvaguardia del clima – commenta la parlamentare europea del Verdi Eleonora Evi – con una guerra in corso che stiamo finanziando con l’acquisto di gas e petrolio russi, mi sarei aspettata misure più incisive e veloci. Perché dobbiamo aspettare fino a giugno per l’iniziativa sui Tetti solari per dispiegare il più possibile il fotovoltaico? Il gruppo dei Verdi aveva proposto di destinare l’1% del Pil di ogni stato membro a efficienza energetica e rinnovabili, ma questi obiettivi non ci sono nel documento. Noi chiediamo da tempo anche un provvedimento mirato all’indipendenza energetica dell’Europa, un tema di cui si inizia a parlare, ma ancora in modo troppo cauto».

LE MISURE DELLA COMMISSIONE ricalcano il piano in 10 punti suggerito dall’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) pubblicato la scorsa settimana dove, tra le altre cose, non si menziona il carbone e si suggerisce agli stati di tassare temporaneamente gli extra-profitti delle aziende energetiche (tutte, anche le rinnovabili) per calmierare le bollette di imprese e cittadini: da questa azione si potrebbero ricavare 200 miliardi di euro da redistribuire.

Inoltre, la Commissione annuncia di voler indagare sul comportamento potenzialmente distorsivo della concorrenza di Gazprom che nei mesi scorsi ha diminuito i suoi stoccaggi di gas al 16% (mentre gli altri stoccaggi sono al 44%), per poi incrementare il suo flusso di gas nelle ultime settimane, con un tempismo un po’ sospetto.

GLI INTERROGATIVI GENERATI DA QUESTO CHOC energetico non finiscono qui: la deputata di Leu Rossella Muroni ha presentato nei giorni scorsi un’interrogazione parlamentare sui contratti pluriennali delle forniture di gas per capire come si formano i prezzi del gas e a cosa vengono indicizzati i prezzi, se alle quotazioni del petrolio (aumentato del 57%) o a quelle del mercato spot del gas (+ 389 %), per capire chi sta facendo effettivamente gli extra-profitti.

«Qui bisogna rendersi conto che l’interesse collettivo non corrisponde più a quello di Eni. Il governo deve prendere un’iniziativa. Il vero problema è la trasparenza, che assolutamente non c’è – dice Muroni, ancora senza una risposta dal governo – io credo che il Parlamento sia il luogo dove questo meccanismo deve essere spiegato. Altrimenti servirà una Commissione parlamentare d’inchiesta dedicata. C’è in gioco la sicurezza del paese ma anche una filiera industriale, quella delle rinnovabili, che non riesce a svilupparsi perché mancano certezze e prospettive. Con questa crisi rischiamo di tornare indietro di 30 anni. Io rimango stupita quando sento che c’è una parte di Confindustria così arretrata da proporre di rallentare la transizione ecologica. Questa è una posizione che sfida anche noi ecologisti: forse non abbiamo dialogato abbastanza in questi anni».

A una interrogazione simile presentata dai deputati Vallascas e Vianello (M5S) in cui si chiedevano il numero dei contratti a lungo termine, il quantitativo di gas per ogni contratto e i metri cubi previsti per ogni punto di ingresso, la sottosegretaria Gava ha risposto che «sotto molteplici profili, innanzitutto per preminenti ragioni di sicurezza, oltre che per ragioni di tutela di dati sensibili, anche sotto il profilo commerciale, si ritiene non opportuno fornire indicazioni così puntuali».