Siano processati in 25. Ci sono le richieste di rinvio a giudizio, ora, per il disastro dell’Hotel Rigopiano a Farindola (Pescara). Due anni dopo la tragedia, in cui morirono in 29, il procuratore capo di Pescara, Massimiliano Serpi, e il sostituto, Andrea Papalia, hanno scritto la parola fine sull’inchiesta. Complessa e articolata. Gli accertamenti, di volta in volta arricchiti da intercettazioni e documenti, con non pochi colpi di scena, sono stati condotti dai carabinieri forestali e sono partiti subito dopo la catastrofe.

Era il pomeriggio del 18 gennaio 2017 quando una valanga si è abbattuta sull’albergo di lusso, posto divino tra le montagne, trascinando dietro di sé anche parte del bosco. La struttura è stata devastata, spostata, fatta a brandelli. E le famiglie e le coppie e i lavoratori che vi erano dentro sono stati uccisi. Pochi i superstiti.

Gli ospiti, ma anche i dipendenti del resort, quel giorno, caratterizzato da diverse forti scosse di terremoto e da bufere di neve da incubo, avrebbero voluto lasciare quel posto, ma le strade erano bloccate dalla neve altissima. Non furono liberate e loro rimasero in trappola.

Le indagini sul disastro hanno evidenziato carenze nella gestione dell’emergenza. Un po’ il maltempo, un po’ la noncuranza. Decine e decine di telefonate e richieste d’aiuto rimaste disattese per ore. Rimbalzate da un ufficio all’altro. L’allerta valanghe, dei giorni prima, non considerata. Quella Carta valanghe, che avrebbe consentito di individuare Rigopiano come zona a rischio, in itinere da lungo tempo ma inesistente. L’hotel spuntato dove non avrebbe dovuto essere. I reati vanno dal disastro colposo all’omicidio plurimo colposo, dalle lesioni plurime al falso ideologico, per giungere all’abuso edilizio, all’abuso e all’omissione in atti d’ufficio.

Tra gli imputati ecco l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, nei guai anche per l’inchiesta bis, quella per depistaggio e frode processuale. Poi c’è il presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco. C’è il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, accusato di non avere ordinato lo sgombero dell’hotel. Gli altri imputati sono Carlo Visca, direttore del dipartimento di Protezione civile dal 2009 al 2012; Vincenzo Antenucci, dirigente Servizio prevenzione rischi e coordinatore del Coreneva dal 2001 al 2013; Enrico Colangeli, tecnico del Comune di Farindola; Bruno Di Tommaso, gestore dell’albergo e legale responsabile della società Gran Sasso Resort & Spa; Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio, rispettivamente dirigente e responsabile del servizio di viabilità della Provincia di Pescara; Leonardo Bianco e Ida De Cesaris, nell’ordine ex capo di gabinetto e dirigente della Prefettura di Pescara; Pierluigi Caputi, direttore regionale dei Lavori pubblici fino al 2014; Carlo Giovani, dirigente della Protezione civile; gli ex sindaci di Farindola Massimiliano Giancaterino e Antonio De Vico; Luciano Sbaraglia, geologo e tecnico; Marco Paolo Del Rosso, l’imprenditore che chiese l’autorizzazione a costruire l’albergo; Antonio Sorgi, responsabile della Direzione Parchi territorio e ambiente della Regione Abruzzo; Giuseppe Gatto, che preparò la relazione tecnica allegata alla richiesta della Gran Sasso Spa per interventi sull’albergo; Andrea Marrone, consulente incaricato da Di Tommaso per adempiere le prescrizioni in materia di prevenzione infortuni; Emidio Rocco Primavera, direttore del Dipartimento opere pubbliche; Giulio Honorati, comandante della Polizia provinciale di Pescara; Tino Chiappino, tecnico reperibile secondo il Piano di reperibilità provinciale; Sabatino Belmaggio, responsabile del Servizio rischio valanghe fino al 2016. Infine la società Gran Sasso Resort & Spa.