L’Europa, e purtroppo anche il Governo italiano, di fronte alle tragedie che ormai quotidianamente insanguinano il Mediterraneo continua a far finta di niente. L’unico interesse dei nostri governanti sembra essere quello di rincorrere una “contabilità bellica” tanto cinica quanto ridicola, quando ad esempio prova a pianificare un attacco di droni nei porti libici per bombardare gommoni, pescherecci e altri natanti.

Nel nostro Paese oggi viviamo addirittura il paradosso che chi cerca di guardare la questione nella sua ampiezza e complessità, chi antepone l’emergenza dei migranti e la necessità di definire modelli di sostenibilità, in Africa come in Europa, alle contrapposizioni di civiltà e alle prove inutilmente muscolari, viene subito zittito. E tacciato di populismo, in un dibattito pubblico che pare voglia definitivamente cancellare ogni pulsione emotiva, umana, sentimentale, imponendo un approccio falsamente pragmatico e, come si è visto, completamente fallimentare.

Il passaggio epocale che stiamo vivendo, una trasformazione che ha ragioni profonde e che richiama la popolazione europea senza indugi alle proprie responsabilità, storiche quanto attuali, richiederebbe risposte più complesse. Da un lato dobbiamo trovare soluzioni davvero capaci di definire, a partire dalla centralità del Mediterraneo, nuove pratiche di integrazione e convivenza per i nostri Paesi; dall’altro siamo chiamati a contribuire realmente alla costruzione urgente di una fase di sviluppo economico, sociale e politico per le Nazioni africane. Due questioni legate tra loro, ma che richiedono interventi diversi per tempi e strumenti.

E’ evidente che certi movimenti non si arresteranno e allo stesso tempo che le guerre che in molti considerano ancora come soluzione e difesa per l’Europa siano invece la prima causa della frantumazione di gran parte delle società africane e medio-orientali, dell’assoluta insostenibilità della vita in numerose Nazioni, che spinge intere popolazioni, milioni di persone, a considerare la fuga come unica opzione, anche nelle condizioni drammatiche che noi appena intravediamo.

Quelle stesse guerre l’Occidente ha da sempre diretto e spalleggiato. Siamo noi i primi responsabili di quello che avviene oggi e la miopia dei Governanti che ancora in questi giorni si illudono di poter “recintare il mare”, è la stessa che ha portato anche noi italiani tre anni fa a pensare di risolvere sempre e solo con le bombe la crisi libica, senza alcuna pietà, ma anche senza alcuna idea politica e strategica. E’ evidente che la storia, anche quella recente, non può proprio essere maestra per chi non vuole sentire.

La prima cosa da fare oggi è ripristinare immediatamente il programma Mare Nostrum e attivare, prima di tutto in Libia, e poi in altri Paesi della fascia sahariana e sub sahariana tutti i canali politici e diplomatici per ricreare una prima stabilità in questi luoghi. Allo stesso tempo è urgente portare a Bruxelles e all’ONU – con idee, argomenti e una convinzione ben diversa da quella mostrata dal Primo Ministro all’ultimo Consiglio europeo – la necessità di definire politiche comuni di accoglienza e asilo.