Mentre migranti in fuga su barconi fatiscenti perdono la vita in un Mediterraneo ormai chiuso ai soccorsi umanitari, La nave di Teseo traghetta in Italia una nuova edizione della trilogia del grande scrittore nigeriano Chinua Achebe, a sei anni dalla morte e sessanta dalla pubblicazione del suo primo e più celebre volume Things Fall Apart. I nuovi titoli – Le cose crollano; Non più tranquilli; e l’ultimo uscito da poco, La freccia di Dio (pp. 344, euro 19,50) apparsi nella traduzione di Alberto Pezzotta corredata di utili note e glossari, propongono al lettore italiano la rilettura di tre romanzi fondamentali per la comprensione di un periodo storico e di vicende umane e politiche che già annunciano i mali a venire.

La trilogia di Chinua Achebe, uscita tra il 1958 e il 1964, risente del clima di entusiasmi e effervescenze di quegli anni ma riflette anche le ansie sui limiti delle prime indipendenze e sulla continuità del patto coloniale. Come scriveva René Dumont in un volume del 1962, «l’Africa nera è partita male». Rileggere Achebe oggi vuol dire riflettere sul complesso rapporto Europa-Africa alla luce di romanzi che esaminano dall’interno il male oscuro di una relazione storica disuguale che continua a viziare il rapporto tra ex-colonizzatori e ex-colonizzati ancora in epoca postcoloniale.

Gli anni dell’indipendenza
Fin dai primi anni Cinquanta il «vento del cambiamento» – evocato anni dopo da MacMillan in un discorso al parlamento sudafricano – soffiava impetuoso sulle colonie africane che vivevano l’ultima pagina della loro stagione coloniale: nel 1952 il governo del Kenya dichiarava l’Emergenza per contrastare i Mau Mau insorti a reclamare le fertili terre delle Highlands strappate ai Kikuyu dai coloni britannici. Nel 1954 aveva inizio la lotta per l’indipendenza dell’ Algeria che avrebbe portato a una sanguinosa guerra di indipendenza – la sale guerre – durata otto anni con eccidi, massacri, torture e reiterate obiezioni di coscienza in una Francia appena uscita dal disastro di Dien Bien Phu. La crisi di Suez del 1956 darà il via alle indipendenze dell’Africa: per primo il Sudan anglo-egiziano, l’anno dopo la Costa d’Oro che assume il nome Ghana dal medievale regno sudanese, nel 1960 sono ben diciassette i paesi africani che accedono contemporaneamente alla ritrovata libertà. Comincia così la grande e travagliata avventura dello Stato nazionale in Africa.

Quando Achebe publica nel 1958 Le cose crollano, la sua regione, la Nigeria orientale, è ancora governata dall’amministrazione britannica all’interno di tre federazioni separate (Hausa a nord, Yoruba a ovest e Igbo a est) che due anni dopo confluiranno in un unico Stato indipendente. Il suo è il primo romanzo che si confronta con la vicenda storica della società africana sotto la pressione della presenza europea da un angolo visuale del tutto opposto a quello dell’Africa coloniale pacificata. L’autore, nato nella Nigeria orientale da genitori convertiti al Protestantesimo, ha ventotto anni quando scrive un romanzo che è uno spaccato del mondo a venire denso di contrasti e scollamenti. Il linguaggio usato – l’english frantumato e creolizzato della colonia – così pieno di riferimenti figurativi e linguistici alla cultura locale (igbo) e al suo mondo di valori, simboleggia decisamente il cambiamento di passo scelto da Achebe per rappresentare il continente e le sue nuove vibrazioni, entusiasmi e contraddizioni.

Con vena pacata non priva di arguzia e ironia condita da molti proverbi e detti popolari (i proverbi «costituiscono l’olio di palma con cui le parole sono mangiate») l’autore mostra la vita quotidiana di una comunità contadina (Umuofia) della Nigeria precoloniale alle prese con il ‘vento del cambiamento’ portato dai primi missionari che si avventurano all’interno del Continente. Umuofia, che rappresenta l’intera Nigeria e per traslato l’Africa tradizionale, appare come una società rurale regolata da relazioni codificate, norme consuetudinarie, valori condivisi. Non è l’uomo bianco a portare la pace, la legge e l’ordine in questo ambiente ma sono la consuetudine, il rispetto di valori elaborati dagli antenati e confermati da generazioni successive. Il crollo arriva quando questi valori vengono scalzati da norme estranee imposte dall’esterno. I missionari, come i soldati, portano un altro ordine, basato sulla forza, la convinzione, la superiorità morale o militare. Scardinano gerarchie e valori sostituendoli con altri, più moderni ma più divisivi.

Questo il nucleo ispiratore della trilogia di Achebe. Il ruolo dello scrittore nei confronti della nuova Africa è aiutare il Continente a recuperare la fiducia in se stesso, a credere nella propria tradizione culturale perché «gli africani – scrive Achebe in un saggio apparso nel 1964, The Role of the Writer in a New Nation – non hanno sentito parlare per la prima volta di cultura dagli europei; … le loro società non erano senz’anima ma spesso avevano una filosofia di grande profondità e bellezza; … avevano poesia, e soprattutto dignità. Proprio questa dignità gli africani persero quasi interamente durante il periodo coloniale, ed è questa dignità che devono recuperare oggi… Fra gli Igbo c’è un proverbio, un uomo che non sa dire dove la pioggia lo ha colpito non sa neppure dove il suo corpo si è asciugato. Lo scrittore deve dire alla gente dove la pioggia lo ha colpito».

Negli anni delle indipendenze Achebe, in quanto scrittore e alfiere della nuova Africa, ridà dignità all’esperienza storica dell’Africa tradizionale e ammonisce contro la «religione folle» dei colonizzatori che ha inculcato superiorità e denigrazione (e talvolta autodenigrazione) tra i suoi ‘sudditi’. Lo stesso Cristianesimo, ovunque alleato dei colonizzatori bianchi, diventa forza di divisione all’interno dei clan mettendo contro fratello a fratello, giovane a vecchio, padre a figlio. E l’istruzione superiore, mentre allarga gli orizzonti degli uomini di esperienza offrendo loro migliori condizioni di vita, ne restringe gli interessi e le visioni e spesso li rende più gretti, più chiusi, più individualisti.

Maschere tragiche di un crollo
La trilogia di Achebe è esemplare da questo punto di vista. Sia neri che banchi sono visti nelle loro molteplici contraddizioni e ambiguità. Sono persone costrette dalle norme del proprio mondo a adattarsi a sistemi in continuo cambiamento, a confrontarsi con le proprie convinzioni e a calpestare o travalicare i condizionamenti del proprio mestiere, etnia, o posizione sia nella società tradizionale che in quella europeizzata.

L’ambiguità è generale e travolge tutti i personaggi, maschere tragiche di un crollo che è complessivo, e personale, oltre che sociale e politico. Così a tragedia segue tragedia in un meccanismo inarrestabile di causa-effetto. In Le cose crollano, Okonkwo, l’uomo forte di Umuofia che vuole cacciare i missionari che gli hanno irretito il figlio, si toglie la vita recando offesa alla sua stessa terra; Obi, il giovane funzionario che in Non più tranquilli rientra a Lagos dagli studi compiuti in Inghilterra, non sa reggere il conflitto tra gli obblighi tradizionali e le responsabilità del suo ruolo e si lascia corrompere abbandonando la fidanzata Clara invisa al clan; o infine il Commissario Winterbottom in La freccia di Dio che sogna di scrivere un libro sulla «Pacificazione delle tribù primitive del basso Niger», sono tutte figure comico-tragiche impigliate in una rete di consuetudini, norme e meccanismi sociali o relazionali più grandi di loro, a cui non sanno resistere o di cui sono complici. Così gli ignami, nutrimento di vita e di sacralità tra gli Igbo, non verranno più raccolti in nome dei padri ma dei figli inevitabilmente eredi dei tanti rovesciamenti dell’ordine naturale che si sono susseguiti nel tempo, ieri come oggi, «non più tranquilli nelle antiche leggi» (parole di T.S. Eliot).