Con l’arrivo del 2021, carico di troppe attese dopo l’anno funesto che lo ha preceduto, continua lo scontro fra due fazioni opposte nel mondo dell’editoria. Da una parte gli ottimisti a oltranza, convinti che per i lettori, e quindi per i librai e gli editori, sia iniziata una nuova età dell’oro (e quasi quasi dovremmo ringraziare il coronavirus per averci fatto scoprire o riscoprire le gioie della lettura), dall’altra i pessimisti irriducibili, sicuri – a dispetto dalle cifre più o meno confortanti di fine 2020 – che per case editrici e librerie siano in arrivo tempi più duri di quelli che abbiamo alle spalle.
Si sa, pochi resistono alla tentazione di giocare con la palla di cristallo, e lo conferma Metaculus, «una comunità dedita a generare accurate previsioni su eventi del mondo reale aggregando l’intelligenza, l’intuito e la saggezza dei suoi partecipanti». O se preferite, un Bar Sport su scala globale (anche se molto americanocentrico) dove chiunque può dire la sua su questioni più o meno cruciali: ci sarà un’altra pandemia da qui al 2026? Elon Musk soppianterà Jeff Bezos come persona più ricca del pianeta? Basta un clic, e il futurologo in noi sarà soddisfatto.
Per fortuna in altre parti del mondo c’è chi occupa meglio il suo tempo. In un articolo sulla Los Angeles Review of Books Bhakti Shringarpure fa il punto sul rapporto fra la letteratura africana contemporanea e l’era digitale in cui siamo immersi. Un argomento esoterico, che interessa solo a pochi iniziati? Assolutamente no, dato che autori e autrici come Teju Cole o Chimamanda Ngozi Adichie dimostrano una sapienza e una disinvoltura nell’uso dei (non più) nuovi media da fare invidia a quasi tutti i letterati di casa nostra.
Shringarpure sa quello di cui parla: docente di letteratura postcoloniale all’università del Connecticut, ha fondato e dirige una rivista online, Warscapes, «nata dall’esigenza di colmare un vuoto della cultura mainstream nella rappresentazione di persone e di luoghi soggetti a incredibili violenze e nella letteratura che producono». Conflitti trascurati, ma anche approfondimenti su questioni che abbiamo sotto gli occhi e spesso non vediamo (per citarne una: la difficoltà di procurarsi un visto, anche in tempi non pandemici, quando non si è cittadini del «primo mondo»).
«I dinamici impulsi digitali della creatività africana non hanno solo cambiato la letteratura africana, ma hanno trasformato la cultura letteraria per come la conosciamo», scrive Shringarpure su Larb, e cita come «volto di questo fenomeno» appunto Chimamanda Ngozi Adichie, che «di recente ha stupito i lettori e l’industria editoriale pubblicando solo online, in forma di ebook gratuito per gli iscritti a Kindle, il suo ultimo testo, Zikora: amore, solitudine, gravidanza e famiglia in una saga di 40 pagine».
In effetti la mossa pare sorprendente per un’autrice di best seller globali come Metà del sole giallo e Americanah, che è pure un’icona femminista e una celebrità tout court, ispiratrice di saggi accademici e di meme scherzosi. Ma Adichie, sostiene Shringarpure, non si muove a caso: dai discorsi Ted alla iniziale pubblicazione nel 2016 su Facebook del suo «manifesto» sulla maternità (Cara Ijeawele: quindici consigli per crescere una bambina femminista, Einaudi 2017), al suo account Instagram (680mila follower), la scrittrice «si muove felicemente fra gli spazi riservati agli autori di fascia alta che scrivono letteratura seria e i mobili territori digitali di solito associati a giallisti emergenti» – un modello, insomma, «per il nuovo decennio che si preannuncia più digitale che mai, a causa della pandemia e delle clausure che ne conseguono».
Il cerchio si chiude, tout se tient.