Forse non ve ne siete accorti, ma il chilogrammo non è più quello di una volta. Mentre eravate impegnati in tutt’altre faccende, venerdì scorso i fisici di tutto il mondo, riuniti a Versailles per la 26/a edizione della Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure, prendevano all’unanimità una decisione storica. Una decisione che, letteralmente, cambia il mondo come lo conosciamo. Per la prima volta da 129 anni a questa parte, il chilogrammo non è più, per definizione, il peso di un cilindro di platino-iridio conservato gelosamente sotto varie campane di vetro in una stanza con tre chiavi dell’Istituto Internazionale dei Pesi e delle Misure a Sèvres, vicino a Parigi. Sarà invece intimamente legato a una costante universale della fisica. Sembra solo una questione tecnica. E lo è. Ma è anche una questione profondamente filosofica.

LA DISPUTA SUI PESI e sulle misure nella storia è andata di pari passo con lo sviluppo socio-economico delle civiltà. Tutti sanno quanto fu importante all’epoca dei romani stabilire delle misure standard che valessero da una punta all’altra dell’impero. Il miglio, lo stadio, il piede, la libbra o l’oncia erano misure – sempre derivate da quantità tangibili – che però servivano per assicurare che i commercianti parlassero della stessa cosa quando misuravano una merce. Il medioevo è stato caratterizzato dalla proliferazione di unità di misura, che potevano differire anche nello stesso paese.

IL PIEDE O IL POLLICE – misure ancora usate negli Stati Uniti e fino a poco tempo fa in Inghilterra – a seconda del paese in cui ci si trovava avevano un valore leggermente diverso. Il piede dei greci equivaleva a un seicentesimo di uno stadio, cioè circa 30,2 cm. Il pied du roi, usato in Francia per mille anni dopo che venne introdotto da Carlo Magno, misurava 32.5 cm, un centimetro meno rispetto al piede belga, usato in Inghilterra fino al 1300. Il piede veneziano misurava 34,77 cm, e in Germania la misura del Fuß poteva variare dai 25 ai 33.3 cm. Il foot usato negli Stati Uniti oggi misura ufficialmente 30,48 cm, equivalente a esattamente 12 pollici (anche i romani usavano questa suddivisione). Sia come sia, questa confusione, moltiplicata per le misure di peso e di volume, non aiutava certo i commerci e la vita quotidiana. Nell’Italia preunitaria, ciascuno dei regni e ducati in cui era suddivisa la penisola aveva le sue misure.

Fu la Francia rivoluzionaria nel 1791 a cominciare a parlare della necessità di uniformare le unità di misura, in una conferenza presieduta dal matematico Lagrange. Il nuovo sistema metrico decimale, che in Francia divenne legge nel 1799, iniziò lentamente a diffondersi in Europa, fino al 1875 quando tutti gli stati decisero di creare il Bureau international des poids et mesures, di cui abbiamo parlato, durante la storica Convenzione del metro. Nel 1889 venne introdotto quello che allora venne chiamato Sistema MKS (metro, chilo, secondo), le tre unità fondamentali, e oggi si chiama Sistema Internazionale (e che di grandezze fondamentali ne contiene 7). Per la cronaca, l’Italia, subito dopo l’unità, nel 1861, decise di adottare il sistema metrico decimale in tutto il territorio della neonata nazione. Attualmente, solo tre paesi nel mondo non lo hanno adottato: Stati Uniti, Myanmar e Liberia.

LE DEFINIZIONI delle 7 grandezze fisiche fondamentali (oltre alle tre citate, ci sono la mole, per misurare la quantità di materia, la candela per misurare la luminosità, l’ampere, per l’intensità della corrente, e il grado kelvin, per misurare la temperatura) originariamente vennero basate su oggetti fisici standard. Come il famoso cilindro di platino-iridio protetto nel caveau di Sèvres. Ma gli oggetti fisici, per quanto gelosamente conservati, non sono immutabili.

Anzi, si calcola che le sei copie ufficiali del Le Grand K, come viene chiamato il cilindro standard di Sèvres, abbiano variato dal 1889 la propria massa: alcuni hanno perso fino a 40 microgrammi, altri ne hanno acquistati 80. E nessuno sa esattamente perché. Certamente anche Le Grand K avrà un peso leggermente diverso oggi da quello che aveva 130 anni fa: ma siccome è il calibro standard, per definizione pesa sempre 1 chilo.
Questa prosaicità della materia tangibile turba i fisici. Che infatti negli ultimi decenni hanno già modificato le definizioni per il metro, la candela e il secondo: oggi ciascuna di queste unità è legata a una costante fisica. Il metro, per esempio, è definito in funzione della velocità della luce (una quantità fissa e universale), e non più come la frazione di un meridiano terrestre o la lunghezza di un campione di platino-iridio; la candela si basa sulla luminosità di una sorgente in una determinata lunghezza d’onda (il verde, il colore a cui l’occhio umano è più sensibile) e non sulla luminosità di una candela di cera; e il secondo si basa su una transizione atomica del cesio e non più su una frazione della lunghezza di un anno.

DA VENERDÌ SCORSO, anche il chilo ha perso la sua fisicità e sarà definito in base a una costante della meccanica quantistica chiamata h o costante di Planck. Dal 20 maggio 2019, quando le misure entreranno in vigore, non sarà più necessario che ciascun laboratorio o produttore di bilance si calibri con Le Grand K, o con qualcuna delle sue copie ufficiali. Basterà procurarsi o costruirsi una «bilancia di Kibble», in grado di equiparare l’energia meccanica esercitata dalla massa di un oggetto con una quantità equivalente di energia elettrica. La formula è complicata, ma c’entra la costante di Planck. Grazie a questa macchina, ogni laboratorio, noto il valore fisso di h, può derivare il peso esatto di un chilo. E non dipenderà più da Le Grand K nelle viscere parigine, che diventerà una reliquia da museo. Una cosa analoga, sempre per decisione unanime dei fisici venerdì, accadrà ora per l’ampere (che sarà legato alla carica dell’elettrone, e), il kelvin (che deriverà dalla costante di Boltzmann, k), e la mole (che deriverà dalla costante di Avogadro, [N).

DA OGGI DUNQUE LA FISICA è in un certo senso più universale e si affranca dunque sempre di più dall’antropocentrismo di cui è stata figlia dall’inizio. È un cammino inevitabile, che va di pari passo con la consapevolezza che l’umanità, con tutte le sue scoperte e conquiste, non è nient’altro che un accidente insignificante nella storia dell’universo.

Se le leggi della fisica sono davvero le stesse in tutto il cosmo, come vorremmo, è necessario che i suoi mattoni fondamentali, la sua struttura intima, siano scritti col linguaggio della sua architettura più profonda. E non con cilindri, barre e candele custoditi in un angolino di un pianeta insignificante che ruota da qualche miliardo di anni attorno a una stella ordinaria, appena distinguibile dalle sue vicine, nel braccio di una delle sue migliaia di miliardi di galassie.