L’intronizzazione di Joanikije II, nuovo metropolita della Chiesa serba ortodossa in Montenegro, è stata teatro domenica di violente proteste nazionaliste da parte di centinaia di persone, sfociate in scontri con la polizia a Cetinje con decine di feriti. Già il giorno prima la polizia era intervenuta dopo che i manifestanti avevano rimosso gli sbarramenti per la cerimonia. Disordini sulla cui possibilità il ministero dell’Interno aveva messo in guardia, ma che né le autorità locali, né la comunità internazionale sono riusciti a evitare. Si tratta dell’ultimo capitolo di un conflitto tra chiese (quella ortodossa serba e quella montenegrina, fondata nel 1993 e autocefala, anche se non riconosciuta dalle altre chiese ortodosse “ufficiali”) che va avanti dalla dissoluzione della Jugoslavia.

IL CONFLITTO ANCHE recente tra Belgrado e Podgorica entrata nella Nato ormai da due anni, e soprattutto la dipendenza della chiesa montenegrina da quella serba, sono al centro dell’agenda di vari protagonisti, primo fra tutti il discusso presidente Milo Djukanovic – accusato ieri da Ivica Dacic, presidente del parlamento serbo di «soffiare sul fuoco» – che da tempo spinge per l’indipendenza della chiesa montenegrina. Anche Zdravko Krivokapic, premier da agosto 2020, ha rifiutato di partecipare alla cerimonia per non essere «strumentalizzato». Il 16 agosto, inoltre, l’ex direttore della polizia montenegrina e consigliere per la sicurezza del presidente, Veselin Veljovic, è stato interrogato dopo aver invitato i cittadini a protestare, esortando la polizia a disobbedire agli ordini durante l’intronizzazione. Un clima teso a cui hanno contribuito anche la scelta simbolica del monastero di Cetinije (ex capitale del Regno di Montenenegro) e il fatto che Joanikije sia stato eletto dal Santo Sinodo di Belgrado, a maggioranza serba. Lo stesso che denuncia la perdita della Methoja-Terra della Chiesa, vale a dire del Kosovo.

NON SOLO: LE TENSIONI con la chiesa serba si sono rafforzate da dicembre 2019 con l’approvazione, da parte del precedente governo montenegrino, di una nuova legge sulle «libertà religiose» che imponeva alle comunità religiose del Paese di attestare il diritto a possedere determinate proprietà per evitare una confisca. Testo che l’attuale esecutivo di Krivokapic ha promesso di cambiare, ma la firma a maggio è saltata. Un contesto delicato il Montenegro, nel mezzo del processo di adesione all’Ue prevista per il 2025: forse per questo Bruxelles e Washington sono – adesso – prudenti e non commentano le proteste, limitandosi a ribadire la necessità di evitare conflitti interetnici o religiosi.