Nel sito del Comune di Venezia la risposta alla domanda «Cosa fare se vi trovate con l’alta marea?» è la seguente: «Non essendo un fenomeno pericoloso, l’alta marea rappresenta, nella stragrande maggioranza dei casi, un disagio limitato sia per i veneziani che per i turisti. Si tratta, pertanto, di pazientare solo alcune ore, attendendo che l’acqua sia completamente defluita. Per i curiosi invece, consigliamo l’acquisto di un paio di stivali che consentiranno di visitare la città vivendola in modo decisamente insolito».

Un’istruzione d’uso per Venezia, che l’alluvione devastante del 12 novembre falsifica ma che è la chiave di lettura di tutto: il Mose mai realizzato e su cui si è potuto tanto lucrare, le Grandi Navi, che continuano sfacciate ad accedere al bacino di San Marco, il numero sempre minore di case e locali a prezzi ragionevoli per residenti a fronte di alberghi e b&b. Sbilanciata a favore di chi in città non abita né lavora, l’informativa sull’acqua alta diventa spunto per un turismo alternativo, avventuroso. Negli ultimi nove anni la marea ha raggiunto soglie preoccupanti almeno 76 volte, ma a chi importa dei disastri che provoca? Chi sono mai questi 50mila residenti in centro storico che non si trasferiscono in terraferma, lasciando il territorio al suo destino di Luna Park semisommerso?

Venezia, che adesso è ancora in stato di calamità, è una città dal cuore grande, la più coraggiosa. Generalmente nascosta tra i milioni di turisti e pendolari che vi transitano, c’è qui una civitas fatta di famiglie con tradizioni salde, per cui prima viene la qualità dei cives nei rapporti interpersonali e nella solidarietà e solo dopo la cittadinanza come insieme. Sono questi cittadini che ora, con le maniche rimboccate, si prodigano: aprono le porte ai non pochi sfollati, aiutano ad asciugare vestiti e scarpe a chi non ha più niente da indossare, a ripulire case e negozi, a spostare mobili e suppellettili all’esterno, ad acquistare libri bagnati, perché la maggior parte delle librerie in città, Acqua Alta, Cafoscarina, Toletta, Goldoni, è stata inondata.

Difficile fare una stima dei danni. I sopralluoghi sono ancora in corso e il salso e l’umidità presenteranno il conto col tempo, essendosi infiltrati nelle porosità di mattoni, malte, marmi, rivestimenti e intonaci. Nella Basilica di San Marco l’acqua ha superato il metro e 65 cm invadendo il nartece, rompendo le finestre, allagando il pavimento musivo, aggredito dalla salsedine, e sommergendo la cripta. Si è arrivati a un passo dalla rovina, per i problemi di staticità creati alle colonne che reggono la basilica.

Non sono stati risparmiati il chiostro di Sant’Apollonia, di epoca romanica, il più antico di Venezia, e la chiesa barocca di San Moisè, dietro piazza San Marco, mentre a Santa Maria Mater Domini l’afflusso dell’acqua è stato tale da impedire l’accesso. A Ca’ Pesaro, Galleria Internazionale d’Arte Moderna, è divampato un incendio che ha causato il crollo del solaio al pianterreno dell’edificio. E il Teatro La Fenice ha subito danni al sistema elettrico, come alcune sedi dell’Università Ca’ Foscari. Nella Biblioteca della Querini Stampalia 300 metri lineari di libri sono andati sott’acqua, con le miscellanee dell’Ottocento e del Novecento e i libri del fondo Treves. Per salvare la bellezza di Venezia bisogna stare dalla parte di chi ci tiene.