I difensori dei diritti umani si raccontano in prima persona nel libro Non chiamatemi eroe, scritto da Lorena Cotza ed Ilaria Sesana per Altreconomia. Parlano della propria vita, del proprio impegno, delle proprie scelte, e capiamo così che sono donne e uomini «normali», che hanno fatto una scelta radicale, mettendo a rischio anche la propria vita con l’obiettivo di difendere uno o più diritti umani fondamentali.

Lorena e Ilaria raccontano 14 storie di ribellione, resistenza e coraggio da tutto il mondo, Italia compresa, e lo fanno in «presa diretta», si direbbe se questo libro fosse anche un documentario. Hanno incontrato queste quattordici persone, le hanno intervistate, danno voce al loro racconto, sono i virgolettati a spiegare perché, in un dato momento, è stato impossibile continuare a tacere, restare indifferenti, non ribellarsi alle palesi e sempre più gravi violazioni dei diritti umani e alla distruzione dell’ambiente. Hanno scelto di sacrificare la propria sicurezza e la propria incolumità, e lo hanno fatto senza mai definirsi né sentirsi «eroi» (da qui il titolo del libro).

L’incontro delle autrici con i difensori dei diritti umani rappresenta un aspetto rilevante del libro: se possono ancora parlare, è perché sono vivi, e questo non è scontato. Si stima infatti che dal 1998 – l’anno in cui fu siglata la Dichiarazione Onu sugli «human rights defenders» – siano stati uccisi almeno 3.500 attivisti. Nel solo 2018, l’anno del ventesimo anniversario, sono stati ben 321, mentre un numero indefinito è stato arrestato, detenuto, torturato. Sono passati poco più di trent’anni dal 22 dicembre del 1998, quando venne assassinato il primo martire per i diritti umani, Chico Mendes, ucciso davanti alla porta di casa sua: era un raccoglitore di caucciù, ed è stato Segretario generale del Sindacato dei lavoratori rurali nella sua Xapuri, in piena Amazzonia. Lì difendeva la foresta dal discoscamento illegale.

La storia di Chico Mendes insegna che ambiente e lavoro s’intrecciano, che i diritti umani fondamentali sono interdipendenti. È ancora così, anche se l’«eroe non eroe» più radicato nell’immaginario collettivo è forse quello impegnato nella difesa dell’ambiente: la salvaguardia delle foreste e dei fiumi, le proteste contro miniere inquinanti o i progetti di costruzione di grandi dighe, come nel caso di Geovani, leader e portavoce del popolo Krenak, nel Sud Est del Brasile (la sua foto è anche in copertina). C’è poi chi difende i diritti delle minoranze – ad esempio i cittadini discriminati per il loro orientamento sessuale – come Veronika Lapina, dell’Ong russa Lgbt Network, che denuncia le brutalità verso le persone non eterosessuali in Cecenia. A volte la propria professione diventa una missione: Nurcan Baysal giornalista turca di Diyarbakir, nei suoi libri e reportage ha denunciato le discriminazioni e le violenze contro il popolo curdo perpetrate dal governo e dall’esercito turco.

Le violazioni dei diritti non si verificano però solo in Paesi con regimi oppressivi, ma anche nelle cosiddette democrazie, tra cui l’Italia: la storia di Marco Omizzolo, attivista minacciato e calunniato per aver difeso i lavoratori sikh sfruttati nell’Agro Pontino, è esemplare in questo senso. Scrive nella prefazione Andrew Anderson, Executive Director di Front Line Defenders: «Nonostante gli arresti, la persecuzione e gli omicidi, in tutto il mondo i difensori e le difensore dei diritti umani continuano a portare avanti il loro prezioso lavoro. Rifiutano di tacere, rifiutano l’indifferenza. E ci chiedono di fare altrettanto: per sostenerli, per lottare contro la censura e l’indifferenza, dobbiamo far di tutto per ascoltare, amplificare e far sentire le loro voci». Una lotta cui potrete prender parte leggendo questo libro.