Le coincidenze accadono e basta, eppure ce ne sono alcune che sembrano voler dire qualcosa. Un esempio: il primo giorno del 17esimo congresso dell’Arci, l’Associazione ricreativa culturale italiana, che buona parte di noi identifica con l’accoglienza, sarà anche il primo giorno del governo Conte, o governo Salvini-Di Maio, insomma quello del «è finita la pacchia» per i migranti. «Neanche ci si fosse dati un appuntamento», dice con il suo accento toscano la presidente Francesca Chiavacci.

Il momento del Paese non è semplice. Chiavacci è uscente – verso la riconferma. «Quattro anni fa sono stata eletta in un congresso complicato. Nei quattro successivi anni, poi, è successo di tutto. La recrudescenza del neofascismo, il referendum costituzionale, e il finale, il voto del 4 marzo. Abbiamo fatto i nostri congressi in pieno periodo elettorale. E infatti dopo il voto abbiamo dovuto riscrivere il nostro documento».

L’augurio di buon lavoro del governo giallo-verde è la minaccia di un giro di vite contro i migranti e contro il mondo dell’accoglienza.

Sono preoccupata. Il nostro congresso non a caso si intitola «Liberarsi dalle paure». Salvini dovrebbe fare il ministro degli Interni, e invece fa il ministro della paura. Per quello che dice e per l’uso stesso che fa delle parole. Il ’contratto’ di governo, a parte qualcosina sui beni comuni, è tutto impostato sull’idea di ’prima gli italiani’. Noi diciamo ’prima le persone’. Ma sappiamo che le idee di Salvini hanno un consenso nella società, basta guardare i dati elettorali.

Che farete?

Continueremo a convocare le nostre iniziative. Ma soprattutto facciamo quello che facciamo da 61 anni: parliamo con le persone, cerchiamo di convincerle, di combattere le paure.

Voi siete identificati con il tema dei migranti. Quello contro cui il presidente Conte ha tuonato: “basta business”. Cosa risponde a Conte?

Credo che non conosca il sistema dell’accoglienza. La parte dei grandi centri, della concentrazione di centinaia di persone, quella più remunerativa, non è quella che facciamo noi, e per scelta. Consideriamo la cattiva accoglienza madre del razzismo. Noi facciamo accoglienza negli appartamenti e nei piccoli centri. E abbiamo una marcia in più: possiamo integrare con i nostri circoli, in modo mutualistico, nel territorio. Chi viene accolto spesso diventa socio Arci. Su questo tema nel ’contratto di governo’ ci sono molte cose irrealizzabili, come i rimpatri. Temo che alla fine la cosa che si concretizzerà sarà una stretta sull’accoglienza. Sento dire che le commissioni territoriali per la richiesta di asilo vengono ’consigliate’ di stringere le maglie. Si annuncia un boicottaggio attivo.
La vostra cultura oggi è controvento. Qual è il bilancio delle vostre attività?
Non abbiamo mai perso l’idea della formazione e della pedagogia verso i cittadini. I nostri corsi per i ragazzi che non ce la fanno, o i circoli in cui le vedove si ritrovano, sono tutti momenti di socialità propedeutici che poi portano a quella cultura che ti fa discernere le cattive narrazioni. La cultura è strumento di emancipazione e libertà: è la missione dell’Arci dal ’57.

Progetti per i prossimi quattro anni?

Intanto un lavoro anche su di noi. Abbiamo un milione di soci. Di certo fra noi c’è chi ha votato 5 Stelle. Dobbiamo recuperare una dimensione territoriale un po’ più stretta, presidi popolari diffusi, biblioteche, mutualismo. La sconfitta culturale del 4 marzo, inutile negarlo, è anche nostra. Noi abbiamo una visione solidale del mondo, al contrario della Lega; e siamo per la democrazia partecipativa nei circoli che è il contrario dell’idea dei 5 Stelle.

Avete avuto una piccola flessione di soci. Come se la spiega?

L’indicatore che ci preoccupa di più è la flessione dei circoli. È sempre più difficile mettere insieme le persone, e chiedere di ’istituzionalizzarsi’ cioè fare un circolo. Per combattere questa tendenza abbiamo fatto un piano di sviluppo associativo. Non solo autorganizzazione ma anche una sorta di pianificazione, come ai vecchi tempi quando si decideva ’qui facciamo una casa del popolo’. Tenendo insieme un progetto politico unico, dai piccoli circoli dei paesi ai grandi circoli giovanili delle grandi città, sulla base dei nostri principi. Come abbiamo fatto durante il referendum costituzionale. Il momento buio della sinistra paradossalmente ci dà più identità: ci sono tante cose diverse con il logo Arci, ma tutte di certo dalla parte dei nostri valori, a partire dall’antifascismo. Se ancora in tante città le nostre sedi sono attaccate per questo, vuol dire che siamo riconoscibili come un presidio antifascista nei territori.

Siete uno dei pochi corpi intermedi rimasti a sinistra. Lavorate nel deserto?

Sì. Purtroppo. Noi saremmo anche disposti a metterci a disposizione di una ricostruzione. Non di un partito, ovviamente, non di un contenitore, ma di contenuti sì. La situazione è drammatica: dopo il 4 marzo nei nostri congressi gli esponenti della sinistra dei partiti non venivano neanche a fare un saluto: sono rimasti a lungo sotto choc. Vorrei dire loro una cosa: noi ci siamo. Spero che ci siano anche loro.