«L’Arci fa 60 anni, siamo pronti a farne altri 60». Francesca Chiavacci, fiorentina, una passione politica che parte contro i missili Cruise. L’Arci degli anni 80 ne è lo sbocco naturale. Poi nella sua vita c’è un incarico da deputata Pds, più avanti da consigliera comunale Pd fino alle dimissioni nel 2013. Dal ’14 è presidente dell’Arci, la prima donna nella storia dell’associazione. Che, nell’epoca della dispersione della sinistra, conta più di un milione di soci e 4800 circoli. Per iniziare a festeggiare il compleanno venerdì 7 a Roma ha invitato tutte le anime della sinistra all’incontro «L’Arci, la sinistra, la democrazia»: da Emiliano a Pisapia, a Orfini, Fratoianni, Orlando, Smuraglia e Ferrero.

Nascete sull’idea di impegno nel tempo libero, cioè liberato dal lavoro. Oggi, nell’era del lavoro che non c’è, cos’è il tempo libero?

Un tempo ricavato dal precariato. Vale soprattutto per i giovani. Noi ci proviamo: cerchiamo ancora di offrire occasioni per crescere, per essere consapevoli. La sinistra prima diceva che la cultura era strumento di emancipazione e libertà. Oggi è lo stesso: la rete offre molto, ma non è detto che offra consapevolezza e libertà. L’altro tema del tempo libero sono le relazioni sociali. Oggi nella società c’è rabbia, odio e paura. Per noi la socialità è ancora l’antidoto.

Oggi prevale la tendenza opposta: per combattere la paura anche la sinistra usa la sicurezza. Contro gli immigrati e gli accattoni, cioè i poveri.

Già il solo associare l’immigrazione alla sicurezza è un nesso che inquina il discorso. Poi i media fanno il resto. I decreti Minniti sono frutto di questa idea. Invece i cittadini si rassicurano con la verità: non c’è nessuna invasione, e il conflitto che c’è nella società deriva dall’aggravarsi della crisi economica e sociale. Più si è poveri più ci si sente più insicuri. La protezione non la dà un leader populista. E se la sinistra insegue questa chimera non è neanche efficace: su questa strada i cittadini preferiranno l’originale. Ma il problema c’è, è inutile girare la testa. Basta stare fra la gente. Alla sinistra vogliamo dire questo: tornate fra la gente. Avete un’idea diversa di società? Riproviamo a farla vivere, dimostriamo che si può fare, che non è un sogno. Noi dell’Arci crediamo nelle buone pratiche: si viene giudicati per quello che si fa, non per quello che si enuncia. O si promette.

D: L’Arci è una grande infrastruttura della sinistra. Ma oggi che avete intorno deserto e frammentazione come fate?

Oggi è tutto più faticoso. Ci siamo sempre vantati che le nostre sedi fossero la casa comune della sinistra. Da Genova 2001 in poi invece chiamiamo sui contenuti: diamo opzioni di lavoro, un tempo dicevamo di lotta. Questo vale anche per i nostri soci. La cultura che produce consapevolezza. I migranti: i circoli negli anni 60 erano un luogo anche di solidarietà e integrazione. Oggi c’è più solitudine, ma molti soci trovano nell’Arci un luogo di attivismo, militanza si diceva un tempo. Ci sono i giovani che attraverso l’associazionismo cercano anche forme di lavoro. Non vanno demonizzati. Ma siamo No profit, anche se facciamo azioni che hanno una dimensione economica.

Il No profit oggi è guardato con diffidenza. Basta vedere la diffamazione a cui sono sottoposte le Ong che raccolgono gli immigrati in mare. Come vi difendete su questo fronte?

Con la democrazia interna che consente il controllo. Intendiamoci, è evidente che anche nel terzo settore ci sono stati comportamenti che poco hanno a che vedere con la solidarietà, vedi Mafia Capitale. Ma per uno che fa male non si guarda mai a quello che di buono produce l’Arci. Le nostre mense sociali vengono date per scontate. Forse non godiamo della buona stampa di altre organizzazioni perché noi a volte prendiamo posizioni politiche. Ma dire la nostra ci sembra un dovere, prima che un diritto.

Cos’altro chiedete alle sinistre?

Di ritrovare i contenuti prioritari per la difesa di tutti i più deboli: per noi sono la lotta alla povertà, l’accoglienza, la laicità, l’accesso alla cultura, la legalità democratica. Di riconnettersi alla società, anche a quella organizzata. Noi crediamo che le istituzioni servano. È vero che spesso non abbiamo condiviso le scelte del governo Renzi e oggi Gentiloni, basta pensare al referendum costituzionale: ma non per principio, non ne condividevamo i contenuti. Questo non vuol dire che fra i nostri iscritti non ci siano elettori di Renzi, o del Pd.

Anzi in alcuni vostri circoli si votano le primarie.

E perché no? Ci offriamo di essere il luogo in cui la sinistra si confronta. Poi, sia chiaro, non sta a noi controllarne lo svolgimento.

Non avete invitato i 5 stelle. Perché?

Perché su alcuni valori per noi fondamentali non c’è sintonia. Penso all’immigrazione. Questo non vuol dire che fra i nostri soci non ci siano grillini, né che non parliamo con loro. Ma se il tema è «la sinistra e l’Arci» loro non sono della partita. Magari su un altro tema sì, in questo no.