Galeotto fu il titolo. E il coltello infilatoci sapientemente da Matteo Renzi. Landini che per Il Fatto quotidiano entrerebbe in politica – nonostante nell’intervista dica il contrario, rilanciando invece il progetto di «coalizione sociale» lanciato tre settimane fa nell’intervista al Manifesto – e il premier che sfrutta il titolo errato per accusare «l’ex amico» di entrare in politica perché sconfitto sindacalmente da Marchionne, creando un vespaio di reazioni.

Vespaio che si è rianimato anche all’interno della Cgil con una paradossale tempistica: il tutto accade nel momento in cui Camusso e Landini non sono mai stati così vicini. Come dimostra il fatto che al Direttivo di mercoledì scorso il segretario della Cgil abbia proposto una legge di iniziativa popolare per un nuovo ed inclusivo Statuto dei lavoratori e non abbia escluso un referendum abrogativo sulle parti più retrograde del Jobs act: musica per le orecchie della Fiom.

E allora ieri l’incontro fra i due a Corso Italia, già richiesto da tempo in vista dell’assemblea nazionale della Fiom a Cervia di venerdì e sabato, diventa «la convocazione» di Landini per «un chiarimento». In realtà sia il segretario generale della Cgil che quello della Fiom precisano il contrario. Landini lo fa in modo esplicito: «Non c’è nulla da spiegare. Quello che dovevo dire l’ho detto, l’ho sempre detto, sui giornali, negli attivi, all’interno e all’esterno, sempre alle luce del sole». Susanna Camusso invece fa solo sapere che l’incontro è stato «positivo» e il clima «buono». Di certo per lei «l’interventismo politico» di Landini è sempre stato fumo negli occhi, ma l’autonomia dal Pd – l’opposzione a Renzi che vuole «ammazzare» il sindacato – è ormai un dato di fatto incontrovertibile, un punto di partenza per le nuove strategie. A Cervia lei non andrà, ma manderà il fido Franco Martini, segretario confederale con delega alla contrattazione. Parola «magica» per tutta la Cgil per uscire dall’angolo, da quella che anche Camusso definisce «una sconfitta a cui reagire, continuando con la mobilitazione e trovando gli strumenti necessari per tutelare i lavoratori».

Ma come sempre è accaduto in questi mesi in Cgil – lo stesso giornale che ha titolava sulla “discesa in campo” di Landini, un anno fa sosteneva che Camusso voleva espellere il segretario Fiom – gli equilibri interni sono labili. E allora basta anche meno di un titolo per rinfocolare attriti mai sopiti, dare fuoco alle polveri della divisione. Lo fanno soprattutto coloro che sono contrari – o meno convinti – alla mossa più estrema che Landini vorrebbe fare e che Camusso non esclude: il referendum abrogativo del Jobs act.

Già al direttivo di mercoledì scorso in tanti hanno contestato lo strumento: «Rischiamo di non raggiungere il quorum», «di sbattere come abbiamo fatto nel 2003 sull’articolo 18», «per votare servono due anni, non abbiamo tutto questo tempo». Posizioni che dal direttivo hanno spuntato la centralità della «contrattazione» e messo in secondo piano l’ipotesi di un referendum comunque non limitato al solo articolo 18. I maligni iniziano perfino a parlare di «patto del Nazareno di Corso Italia», paragonando la pax estiva firmata da «Susanna» e «Maurizio» all’accordo Renzi-Berlusconi.

Quasi nessuno però in Cgil crede alla bufala di un Landini che vuole scendere in politica. Anche perché la querelle va avanti da almeno tre anni, un lungo lasso di tempo durante il quale il segretario della Fiom è stato corteggiato in tutti modi da tutti i partitini della sinistra per candidarsi con loro o per guidare «la nuova sinistra». Ricevendo sempre un diniego forte e deciso. Assieme però alla promessa di dare «una mano al progetto di una nuova sinistra, ma da fuori». Così si spiega l’idea di «coalizione sociale»: «Renzi ha distrutto lo statuto e noi come Fiom dobbiamo riconquistarlo, allargarlo ai giovani e precari, dimostrando che il premier non ha il consenso nel paese partendo da chi – Libera, Emergency, Arci e costituzionalisti – ci sono stati vicini nella nostra lotta da Pomigliano in poi».

Sul piano interno alla Fiom invece a Cervia è difficile immaginare qualcosa di diverso da un appoggio pieno a Landini. L’unica voce critica viene dai cremaschiani della Rete 28 aprile che con Sergio Bellavita accusa: «Landini e Camusso, l’unità della ritirata».