Cosa grida la folla alle fuorilegge? Non grida «assassina», «ladra» o «terrorista» ma «puttana», «fatti stuprare», «dalla all’uomo nero». Lo abbiamo visto sulle banchine del porto di Lampedusa. Si tratta di un’ignominia antica che sopravvive e riemerge in tutte le epoche.

L’idea di «Le fuorilegge» è di tentarne una piccola archeologia attraverso alcuni ritratti cinematografici, prendendo casi diversi come la parricida Violette Noizière, la rivoluzionaria Angela Davis, le domestiche Papin, la folle Ida Dalser, la comunarda Louise Michel…

Si tratta da un lato di vedere come e in che misura l’essere non sottomesse all’autorità maschile è il capo d’accusa di fondo di tutti questi casi celebri. E quindi di come le fuorilegge sono in ultima analisi fuori norma.

E da un altro lato di vedere come intorno a questo crimine si crea rapidamente un delirio di desideri contrapposti, dai quali emergono dei ritratti che si accumulano come maschere sui personaggi effettivamente esistiti; e come il cinema, pur reinventandole, usa queste donne come vettori per accedere ad uno stato del mondo.

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Cos’hanno in comune Ida Dalser e Anna Laura Braghetti? A prima vista, poco. La prima è trentina, l’altra romana. Una era estetista, l’altra brigatista. Una è marxista, l’altra no.

Entrambe hanno sposato un proletario emiliano e sono state internate a vita. Ida Dalser in istituti psichiatrici, dove muore nel 1937. Anna Laura Braghetti nelle famigerate carceri «speciali», destinate ai terroristi, non beneficia di nessuno sconto di pena, dal 2002 è ammessa alla libertà condizionale.

Ida Dalser sembra fuori posto in questa serie di fuorilegge. Di fatto, non commette alcun reato. Certo, si innamora di Benito Mussolini, che con probabilità aveva conosciuto a Trento intorno agli anni 1907-9, quando questi era un sindacalista e un agitatore.

Nel 1914 vende tutti i propri beni e finanzia le imprese politiche di Mussolini il quale, rimosso per il suo interventismo dall’«Avanti», di cui era direttore dal 1912, fonda un movimento e un giornale, «Il Popolo d’Italia» – apertamente guerrafondaio.

Certo, il fascismo è un crimine. Ma non è per quel crimine che Ida Dalser è internata e uccisa. Anzi è il contrario: il suo essere incompatibile con l’ideale fascista di donna è probabilmente all’origine delle sue disavventure.

Al momento in cui aiuta Mussolini, questi è ancora un estremista di sinistra che cerca di egemonizzare l’area rivoluzionaria del movimento operaio. È vero che il duce si è già legato ad un’altra donna, che come lui è originaria d’un paesello emiliano e con la quale ha una figlia. 

RACHELE MUSSOLINI non potrebbe essere più diversa dalla cosmopolita Ida Dalser. È una solida contadina emiliana. Con una punta di cinismo, Marco Bellocchio in Vincere la ritrae mentre si prende cura degli animali da cortile, in un pollaio ricavato nei giardini della Villa Torlonia, circondata da una rete che la separa dal bel mondo che ora frequenta il duce, imprigionata a sua volta dall’ideale di donna fascista.

Resta da capire perché Bellocchio è attirato da Ida Dalser – personaggio cocciuto e in parte antipatico, che per tutta la vita ha urlato: sono io la moglie del mio aguzzino. A cosa, per il tramite di questa donna, Vincere cerca di dare un volto?

Di due anni precedente, Buongiorno, notte tratta anch’esso di un momento di svolta della storia italiana: il rapimento e l’esecuzione del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. Il «caso» aveva già ispirato nel 1986 il film di Giuseppe Ferrara Il caso Moro, il cui scopo, come di moda in quegli anni nel cinema politico, era quello di svelare un complotto. Questo paradigma stantio non interessa affatto Bellocchio, che mette al centro del suo film non un grande vecchio tessitore di fili ma una donna.

Ora questa donna è molto diversa da Anna Laura Braghetti, brigatista e co-autrice del libro Il prigioniero, in cui rintraccia la propria partecipazione al sequestro e il suo successivo impegno nella lotta armata fuori e dentro il carcere.

L’eroina di Bellocchio, che nel film prende il nome di Chiara, non è una scrittrice che riflette sul proprio passato rivoluzionario. Ma piuttosto una sorta di Alice che, invece di attraversare lo specchio, o di cadere in un pozzo, entra in un romanzo di Dostoevskij.

COME L’EROINA del libro di Lewis Carroll, anche Chiara è confrontata a una serie di insensatezze: nel mondo dei brigatisti, tutti i valori camminano sulla testa. Così, apprendendo alla televisione che il prelevamento di Moro è andato a buon fine, Chiara esulta, come avesse vinto alla lotteria.

Dal punto di vista brigatista, si tratta di rimettere le cose sulle proprie gambe. Per Bellocchio invece è il segno che Chiara si è estraniata dal mondo effettivo.

Non solo da quello piccolo-borghese. Ma anche da quel mondo proletario. Non entriamo nel dibattito se questo sia più o meno fondato storicamente. Qui ci interessa solo come questo partito preso serva a Bellocchio a far apparire un muro che si eleva intorno al personaggio di Chiara, sia da parte borghese, sia da parte proletaria, sia infine nella stessa casa-prigione, dove anche i compagni cessano di essere tali e le appaiono in visione come sacerdoti portatori d’un rito al quale non è convitata. È in quest’isolamento nel mondo dei maschi che la chiaroveggente Chiara incontra Ida Dalser.

C’È DA SEMPRE in Marco Bellocchio la convinzione che il concetto di follia comporti un paradosso. Nel senso ordinario della parola, folle è colui che rifiuta di agire secondo le regole, di rispettare le norme, di sottomettersi all’autorità. Questa follia, che è quella del pazzo, dell’invasato, del malato mentale è per Bellocchio molto simile a quella dell’artista e in questo senso piuttosto sana. L’artista è quello che individua e smuove ciò che è fermo, statico, ingessato, come il pittore Picciafuoco de L’ora di religione che dissacra l’Altare della patria animandone le cariatidi. Ma follia è anche quella che in genere chiamiamo normalità o il conformismo.

Ovvero la convinzione di essere nel giusto. E dunque il fanatismo borghese, che in Bellocchio fa sempre tutt’uno con la religiosità. Ora, queste due follie si oppongono e nello stesso tempo s’intrecciano e saltano l’una nell’altra. Non ci si può gettare nel vuoto senza essere fermamente convinti di quello che si fa. Ecco che la credenza del pazzo abbraccia quella del dogmatico. Tra malattia e salute mentale non c’è allora un muro ma un passo, un solco o piuttosto uno schermo, e le stesse immagini appartengono in fondo ad un lato e all’altro, come le silhouette di Ida e di Chiara.

Ida ha la bellezza morale del personaggio tragico, che si erge contro il dittatore, immobile nella propria assurda ostinazione. Chiara è anch’essa un personaggio tragico. Ma non per la stessa ragione, anzi proprio perché, ad un certo punto, la sua immaginazione mette in moto dei pensieri inaccettabili. Leggendo le lettere dei condannati a morte della Resistenza, vede improvvisamente in Moro un resistente, come suo padre, e si immedesima, con sgomento, nei fascisti che lo condannano a morte.

DAL PUNTO di vista estetico, i due film allora sono molto simili, Bellocchio inserisce nel racconto una selva di immagini tirate dalla storia del cinema, che invadono la storia, circolando tra vere sale di proiezione e sogni più o meno ad occhi aperti delle protagoniste. Il punto è allora capire il ruolo del cinema nell’irrequieta certezza delle due eroine. Cura o illude? Conferma o sbaraglia? È chiaro che per Bellocchio quest’ambiguità non va risolta perché non appartiene ad un’epoca o ad un’ideologia particolari ma alla realtà stessa. Ed il cinema ne è portatore proprio in quanto arte realista. Ma è anche vero che c’è un prima e un dopo l’epoca in cui il cinema è entrato nelle nostre vite e nelle nostre teste. È il presente di Ida Dalser, che vede farsi la storia al cinema (e non solo sullo schermo ma anche nella sala stessa). È il passato di Chiara che, se nel presente guarda la televisione, quando riflette associa immagini di vecchi film del muto.

AVEVAMO visto, nel primo episodio di questa serie, come Claude Chabrol scoprisse nella storia della parricida Violette Nozière il fondo aleatorio dell’alternativa tra una vita normale e una vita fuorilegge. Con i volti di Ida Dalser e di Anna Laura/Chiara Bellocchio gira la macchina da presa verso il gorgo del cinema stesso di cui denuncia l’anima paradossale, eternamente tesa tra l’immagine e il suo movimento.

3.continua

Errata corrige

Per errore, nella versione uscita in edicola è stato scritto che Ida Dalser era “triestina”, mentre invece è “trentina”. Ce ne scusiamo con i lettori.