Finora ha celato questa grazia da interprete, preferendo concentrarsi sul lato cantautorale – come dimostrano i quattro album da studio realizzati fin qui e un live. In realtà Chiara Civello, romana di stanza nella Grande mela con ripetute licenze brasiliane, nutre una passione smisurata verso i classici e la canzone italiana, con predilezione per i sessanta e dintorni….: «Sono sempre stata una fan degli standard – spiega – è come nella letteratura quando vuoi scrivere e scrivere meglio, più libri leggi e meglio riesci nella composizione».

Canzoni è il titolo del suo sesto lavoro appena pubblicato, e questa volta ce l’ha fatta a cimentarsi da mera interprete. Quindici pezzi dal repertorio di Endrigo, Battisti, Buscaglione, Bacalov, Paoli prodotto insieme a Nicola Conte con il quale ha registrato il disco tra Rio de Janeiro, New York e Bari. La parte orchestrale, la ciliegina sulla torta, è arrangiatata nientepocodimeno che dal quel genio di Eumir Deodato…

«Avevo voglia di riesplorare – racconta Chiara – la mia parte di interprete. Io a New York dopo essere uscita dalla scuola di Berkley (l’università della musica a stelle e strisce, ndr) ho sostanzialmente fatto questo. Ma volevo farlo su pezzi italiani tentando però di liberarli dall’artificio un po’ melodrammatico per giocare su toni, registri e arrangiamenti ariosi». Le muse ispiratrici sono le voci di Dusty Springfield , la regina del white soul inglese antelitteram e Julie London, signora del belcanto tenebroso sporcato di sigarette e jazz. «Nicola Conte è stato fondamentale in questo prezioso lavoro di ricerca. Ci siamo mossi in equilibrio tra soul, Brasile e la melodia italiana. Sono partita da quaranta brani e poi sono scesa a quindici confontandomi con lui, l’ho costretto a uno sforzo per immaginarsi quei pezzi riletti con altro stile».

Una chiave di lettura che funziona egregiamente ad esempio in Metti una sera a cena di Ennio Morricone, l’arrangiamento a bossa nova, l’intreccio vocale e gli archi di Deodato danno a uno dei capolavori del maestro un’altra interessante prospettiva. La voce della cantante che ha esordito, prima artista italiana sotto contratto con la Verve per un disco prodotto nel 2005 da Russ Titelman, trova accenti nuovi e sfumature inattese, come nella ripresa di Que me importa el mundo di Bruno Canfora scritto per Rita Pavone o ne Il mondo di Umberto Bindi, dove evita enfatici tranelli preferendo calibrare nuance calde e intime.

Nel disco quattro duetti, scelti con cura: «Perché ogni brano necessitava di quell’interprete. Gilberto Gil su Io che non vivo senza te e Chico Buarque, che ha voluto ricordare l’amico Endrigo su Io che amo solo te». Poi c’è Esperanza Spalding, nell’unica cover non italiana, The Windmills of Your Smile dal repertorio di Dusty Springfield: «Ma in realtà è tutto legato. Ho scoperto il pezzo in una versione fatta da Jannacci, tradotta splendidamente dal figlio Paolo. E ho pensato di rendergli in qualche modo omaggio, poi mi sono ricordata che l’originale l’avevo fatta ascoltare a Esperanza Spalding che frequento dai tempi di Berkley, lei mi ha fatto conoscere Minnie Ripperton e io quella canzone. Ne ha dato quel tocco free che mancava». L’amica e cantautrice brasiliana Ana Carolina ha voluto essere coinvolta in E penso a te di Battisti: «Una volta gliela accennai con la chitarra e se n’è innamorata pazzamente. Quando lei ha capito il mood che volevo darle mi ha minacciato: ’o mi chiami per registrarla o la registro io’…».