Primo cittadino di Napoli dal 2011, rieletto nella scorsa primavera, Luigi de Magistris nel 2017 compirà cinquant’anni.
Sindaco, lei è un populista?
Non mi offendo se mi si definisce così, perché mi sento in compagnia di altri leader politici, leader di movimento e amministratori capaci di creare una forte connessione sentimentale con il popolo. Leader che riescono a diventare megafono dei bisogni popolari e sanno dare voce a chi non l’ha mai avuta. Si può chiamare populismo, ma anche zapatismo alla Marcos.
Si definisce di sinistra?
Non ho bisogno di definirmi. Oggi con le parole si fa molta confusione, è pieno di gente che si dice di sinistra, come Renzi, ma non lo è. Lasciamo parlare i fatti. A Napoli abbiamo realizzato cose di sinistra che non si vedevano da tempo. Non mi interessano i recinti partitici, ma stare tra la gente e costruire un movimento popolare che tiene assieme associazioni, comitati e amministratori. Ognuno preservando la sua autonomia e con la maturità politica di stare assieme. Avviene a Napoli, ma è accaduto anche ad Atene, Barcellona, Madrid e Berlino.
Come amministratore, però, lei fa i conti con contraddizioni e compromessi. Ha attaccato Renzi in ogni modo, teorizzando l’autonomia fiscale di Napoli, poi a ridosso del referendum ha firmato con l’ex premier il «patto» per la città offrendogli l’occasione di fare campagna per il Sì.
Non è stato un compromesso, ma una nostra grande vittoria. Abbiamo preservato in pieno l’autonomia politica di Napoli, mentre ci veniva chiesto di abbassare i toni del nostro dissenso con il governo. Non lo abbiamo fatto, anzi abbiamo costretto il governo a tornare indietro dal ricatto.
Altro esempio: lei e la sua giunta siete schieratissimi contro il Jobs act, lei ha firmato i referendum Cgil. Però il comune di Napoli ha fatto un bando per lavori di pubblica utilità da retribuire con i voucher.
Non c’è nessuna contraddizione, io posso confermare la mia totale contrarietà e quella della giunta verso questa forma di mercificazione dei diritti dei lavoratori. È accaduto che la regione Campania ha emesso un bando per questi voucher. I comuni, se vogliono consentire ai disoccupati di accedere a queste risorse, non possono che aderire. Abbiamo ritenuto di farlo per consentire ai lavoratori – che magari hanno idee diverse dalle nostre sui voucher – di partecipare. Diversamente avrebbero potuto accusarci di limitare le loro possibilità a causa delle nostre posizioni politiche. Come la pensiamo sui voucher, però, lo abbiamo ribadito anche all’interno dello stesso bando.
Parliamo di N’Albero, la struttura di 40 metri in tubi innocenti che il comune ha fatto innalzare sul lungomare di via Caracciolo per le feste. Molti intellettuali l’hanno criticata per ragioni estetiche e di opportunità, lei ha risposto spiegando che non ha costi per l’amministrazione e che ai cittadini piace. Due argomenti decisamente populisti, non trova?
Io sono molto soddisfatto di questa nostra scelta, abbiamo da poco superato i 100mila visitatori paganti e dunque sul gradimento popolare avevo ragione. Bisogna precisare che si tratta di un’installazione temporanea, a marzo sarà smontata. Visto da lontano, di notte, N’Albero a mio avviso è anche bello, la visuale dall’alto è suggestiva e siamo entrati nel Guinnes dei primati con un’opera di ingegneria napoletana. Certo non è un lavoro di Michelangelo, a guardarlo da vicino non è il massimo della bellezza, ma sta aiutando la promozione turistica della città. Napoli non ha mai avuto così tanti turisti.
Dunque gli intellettuali sbagliano?
Le loro osservazioni sono anche utili, ma è il punto di vista di una minoranza. Il giudizio dei napoletani è positivo. Oltre tutto abbiamo passato i controlli della soprintendenza. E diciamo pure che l’installazione non ci è costata un euro, mentre la regione ha dato tre milioni alla città di Salerno per le sue luci di Natale.
Le chiedo un giudizio sui 5 Stelle. Non le sembra che le difficoltà di Raggi a Roma confermino la grande distanza che c’è tra propaganda elettorale, promesse rivoluzionarie e dura realtà di governo?
Ho un’opinione diversa. Credo che stia emergendo la vera natura dei 5 Stelle che non è affatto rivoluzionaria. Quel movimento presenta aspetti di rottura, soprattutto negli annunci, però a Roma non hanno saputo o voluto o potuto rompere con il sistema. Sono rimasti in perfetta continuità con mafia Capitale e le amministrazioni precedenti, Alemanno, Marino, il prefetto. Peraltro alcuni segnali c’erano già stati in altre precedenti amministrazioni grilline, in città meno importanti. Adesso, poi, anche a proposito di questione morale, inchieste e scandali mi pare che i 5 Stelle rivaleggino con il Pd.
In passato lei ha dovuto fare autocritica per l’impegno a sostegno della lista Ingroia, ha detto «ho dato l’impressione ai napoletani di distrarmi dai problemi della città, adesso farò solo il sindaco». E invece ha appena lanciato un movimento politico nazionale che non esclude di presentarsi alle elezioni. Cos’è cambiato?
È passato del tempo. Ma non è cambiato di una virgola il mio impegno a fare il sindaco di Napoli fino in fondo, fino al 2021. Confermo che non mi candiderò alle politiche, siano esse nel 2017 o nel 2018. E non credo che faremo una lista. Però vedo le condizioni per cominciare a costruire un movimento politico che rappresenti un’alternativa politica e sociale nel paese. Vogliamo portare l’esperienza di Napoli al di fuori dei confini napoletani, in tutta Italia e oltre, connettendoci con i movimenti popolari di liberazione che sono all’opera in altre capitali europee. Tra marzo e aprile terremo a Napoli l’internazionale dei beni comuni.
Dunque è deciso, il suo movimento – DemA – non correrà alle politiche?
Oggi l’orientamento è questo, anche perché il lavoro in città è tanto ed è impegnativo. Poi, è chiaro, nella vita tutto può succedere. Però DemA la immaginiamo come una tessera di un mosaico più grande di movimenti. Deve crescere a livello organizzativo, fin qui siano andati avanti con spontaneismo e volontariato. A gennaio sarà approvato il nuovo statuto, diventerà un’associazione più pluralista con organi di decisione allargati.
Può essere pluralista un partito che si chiama come le iniziali del suo cognome?
DemA significa democrazia e autonomia, non a caso la A è maiuscola. Quando si trattò di scegliere il nome si decise di puntare su queste due parole chiave, da sempre sono al centro del nostro impegno. Sono concetti che pratichiamo. Non fu ritenuto un fatto negativo che il nome potesse in qualche modo richiamare il mio cognome, anche se non in modo esplicito. D’altra parte ero il candidato sindaco. Ma il mio obiettivo resta quello di avvicinare i giovani alla politica, non mi interessa un partito personale.
Più che personale c’è il rischio che sia familiare: lei è il presidente e suo fratello Claudio il segretario.
Mio fratello sta avendo un ruolo importante all’interno della politica cittadina. L’ha avuto negli scorsi cinque anni, prendendosi anche una serie di accuse ingiuste. È stato molto bravo nella campagna elettorale e lo è adesso nella costruzione del movimento. Nel gennaio 2017 partirà la campagna di tesseramento a DemA. Le cariche le sceglieranno gli iscritti nell’assemblea generale, prima dell’estate.
Cioè ci sarà un congresso che potrebbe mettere in discussione la vostra guida?
Congresso è una parola che non mi piace, appartiene al passato. Ci sarà un’assemblea popolare degli associati che sarà sovrana. Ma non voglio essere ipocrita, è chiaro che sono io il leader di questo movimento. Faccio il sindaco di Napoli, ne farei anche a meno, ma oggi è così. Il mio obiettivo però è allargare al massimo la partecipazione. Ho sempre in testa la bella immagine del Quarto stato, dove si vede il popolo in movimento, con diversi protagonisti in marcia.