Una casa che produce assorbenti cerca di sdoganare il sangue mestruale con uno spot che mostra assorbenti usati, passati e prestati senza nascondersi o nasconderli, acquistati da giovani uomini per le loro amiche o compagne, e poi rivoli rossi che scendono lungo le cosce durante la doccia, sangue che galleggia, cicli dichiarati senza vergogna e, infine, l’esortazione: «Perché viene considerato inammissibile mostrare il sangue delle mestruazioni? Il ciclo è normale. Mostrarlo dovrebbe esserlo allo stesso modo».
Non tutte le donne hanno apprezzato, tant’è che qualcuna ha commentato «Ok non vergognarsi del mestruo. Ma la vulva all’uncinetto che canticchia e l’assorbente usato in primo piano magari no». Se è per questo, nello stesso messaggio pubblicitario a cantare c’è anche un salva slip ancora immacolato su una mutandina calata a terra, mentre in un altro che inneggia alla vagina ci sono un conchiglione e alcuni frutti (pesca, papaya, pompelmi) tagliati in due e piazzati in posizione strategica, un tortellino parlante indovinate da quale lato, una vagina avvolta così strettamente in un pantacollant che nulla lascia all’immaginazione, una ragazza che se la guarda con uno specchio e, ovviamente, non poteva mancare un’ostrica.

ERA IL 1996 quando Eve Ensler scompigliò il mondo teatrale, letterario, e non solo, con I monologhi della vagina, ne sono serviti altri 24 anni affinché il mestruo valicasse le frontiere della saggistica per arrivare alla pubblicità, che sarà pur fatta per vendere prodotti, ma in questo caso almeno non ti suggerisce, ammiccando, che devi sentirti «profumata e asciutta anche in quei giorni», come se le mestruazioni fossero una colpa da nascondere. Certo, la vulva all’uncinetto se la potevano risparmiare non foss’altro perché all’uncinetto ormai non fai più nemmeno i bavaglini, ma attenzione a schifarsi per l’assorbente usato, si rischia di tener vivo quel tabù tanto caro al patriarcato e alle religioni monoteiste e che ha sempre relegato il sangue mestruale a cosa sporca e indecente, concetto che ha contaminato anche il pensiero femminile per generazioni.
Sophie Laws scrive in Issues of blood: the politics of menstruation: «Ciò che abbiamo è un’etichetta mestruale, parte di un più vasto protocollo che regola i comportamenti tra i sessi, che sancisce chi può dire cosa a chi, e in quale contesto. Le donne sono denigrate per ogni loro comportamento che porti l’attenzione alle mestruazioni, mentre gli uomini possono riferirsi a esse molto più liberamente se decidono di farlo».

CHI DI NOI non ricorda l’aria cospiratoria con la quale certe nostre madri ci istruivano su «quei giorni», sembrava di essere delle carbonare che non dovevano nemmeno dare alle mestruazioni il loro nome. «Le mie cose» le chiamavano. E chi può dimenticarsi certe espressioni maschili, rozze e apertamente denigratorie, come «Oggi c’ha il marchese. E’ meglio lasciarla stare». Non c’è da stupirsi se per secoli le donne hanno parlato del ciclo sotto voce persino fra loro. La rivoluzione mestruale evocata da Elise Thiébaut in Questo è il mio sangue (Einaudi) può passare quindi anche attraverso uno spot pensato per vendere assorbenti. E se a qualcuna l’assorbente sporco di sangue facesse ribrezzo, si ricordi che cinquemila anni fa quello stesso sangue era considerato sacro e generatore di vita. Insomma, ci dovrebbero dare una medaglia una volta al mese, altro che farci pagare il 22% di Iva. Dite che ora è al 5%? Sì, ma solo se l’oggetto in questione è biodegradabile, praticamente meno dell’1% di quelli in commercio.

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