Che Game of Thrones sia una delle serie televisive più seguite al mondo non v’è dubbio. Che tra i suoi segreti mal celati vi sia la spinta a identificarsi con le gesta dei vari eroi è altrettanto certo. Una trama che sa dosare azione e introspezione, che apre a spazi sconfinati e improvvisamente chiude nelle segrete di un castello, che mette la lotta tra il bene e il male sempre in discussione, attraverso dei ribaltamenti di campo per cui, ad esempio, la più cattiva, presa di mira da un integralista religioso, all’atto di far saltare in aria tutti quanti si trasforma quasi d’incanto in un’eroina. O la vittima di soprusi e violenze, nel momento in cui riesce a sovvertire la sua condizione, diventa spietata e persino più crudele dei suoi aguzzini.

Nell’attesa dell’ultima stagione, divisa peraltro in due tronconi che dilateranno la conclusione fino al 2018, ci sono due suggestioni interessanti su cui soffermarsi.La prima riguarda proprio il nostro identificarci con l’eroe, che sia una madre di draghi, un nano capace di unire l’ironia alla tattica politica, una ragazza che apprende l’arte della mimesi per uccidere nel modo più feroce i suoi nemici, un soldato senza anima che prova a redimersi o il bastardo che combatte senza paura, che muore e poi rinasce. Quello che viene da chiedersi però è: nell’epoca dei selfie e dei social, cioè del mondo che dovrebbe vedere noi e non viceversa, chi è davvero l’eroe?

In un certo senso, il recente accostamento tra Il racconto dei racconti di Matteo Garrone e, appunto, Game of Thrones non risulta così azzeccato. Nell’adattamento cinematografico de Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, gli eroi sono persone sole, ritorte in loro stesse, con una pulce per amica, un gemello con cui condividere tutto, un dito apparentemente giovane da desiderare. Nessuno dei personaggi pensa a un mondo più grande di quello che lo circonda. Nessun gioco è previsto, se così si può dire. Nelle trame inventate da George R. R. Martin, al contrario, si combatte naturalmente per se stessi, per la propria gloria, per la conquista del potere, ma ogni azione ha una ricaduta sugli altri, persino a distanza di anni. Gli eroi non sono disposti all’autoscatto, non linkano il proprio pensiero, insomma non sono spettatori di loro stessi. Al contrario, sono attori che con le loro imprese pensano di rendere il mondo un posto migliore.

La seconda suggestione concerne il fine di questo agire e di questo giocare per rendere migliore o peggiore il mondo. E qui il discorso si fa più serio.
La minaccia che incombe sull’umanità di Game of Thrones è rappresentata dagli Estranei, che per brevità possiamo identificare con i morti viventi, anche se non hanno molto a che fare con i celebri Zombie. Queste creature sin dalla prima immagine della prima puntata sono pronte a travolgere tutto, mentre re e servitori, soldati e sacerdoti, uomini e donne sono impegnati in lotte che appaiono del tutto superflue alla luce di quello che potrebbe accadere da un momento all’altro. Da questo punto di vista gli eroi tornano alla loro più totale parzialità, sono irretiti come tutti noi. Non hanno lo sguardo ampio che permette di prendere le distanze dalle cose del mondo e, forse, tornano a desiderare lo stesso dito del Re de Il racconto dei racconti.
Anche nell’Europa degli anni Quaranta in molti pensarono all’esito della guerra, agli sbarchi e ai bombardamenti, poi qualcuno arrivò ad Auschwitz.