La crisi tra Usa e Turchia sulla questione dello “stratega del golpe” Fethullah Gulen in esilio in Pennsylvania, è seguita con attenzione in diverse capitali mediorientali. Alla sorpresa iniziale per una lacerazione che nessuno avrebbe mai immaginato così ampia, alla luce anche del ruolo e dell’importanza di Ankara nella Nato, si è ora sostituito l’interesse con il quale gli attori principali nella regione guardano alle conseguenze dello scontro tra l’Amministrazione Obama e il presidente turco Erdogan. E se qualche giorno fa la portavoce del ministero degli esteri russo Maria Zakharova domandava polemicamente dov’era la Nato la settimana prima del colpo di stato in Turchia, manifestando incredulità per una intelligence dell’Alleanza Atlantica all’oscuro di tutto, ieri un’agenzia di stampa iraniana ha riferito che sarebbe stato proprio Vladimir Putin ad allertare l’ex avversario Erdogan sulle intenzioni di una parte delle Forze Armate turche. Proprio l’Iran è uno dei Paesi del Medio Oriente che sta cercando di decifrare l’evoluzione dello scontro tra Washington e Ankara.

Tehran in via ufficiale ha espresso sollievo per il fallimento del colpo di stato della scorsa settimana in Turchia e la stampa riformista, vicina al presidente Hassan Rouhani, ha sottolineato il ruolo positivo del popolo turco «sceso in strada a difendere la democrazia». Ai vertici dell’establishment iraniano conta in questo momento il riavvicinamento tra i due Paesi, per anni separati dalle rispettive ambizioni di egenomia regionale e dall’impegno opposto nella guerra civile siriana. Dietro le quinte però, in particolare negli ambienti più conservatori, Erdogan resta un nemico. Ambienti ai quali ha dato voce qualche giorno fa il quotidiano Quds secondo il quale «il golpe in Turchia è stato pianificato dallo stesso Erdogan per accrescere la sua popolarità e per coprire i gravissimi errori che ha commesso in politica interna ed estera». Errori che riemergeranno, prevede il giornale iraniano. Di ciò sono convinti anche alcuni analisti iraniani, certi che la repressione in atto in Turchia si rivelerà un boomerang. Gli iraniani riformisti non credono che lo scontro tra Ankara e Washington raggiungerà conseguenze estreme. Tuttavia i sostenitori di Rouhani sperano che il peggioramento delle relazioni con la Turchia spinga gli Stati Uniti a rafforzare di riflesso il dialogo con Tehran e a revocare in via definitiva qualsiasi forma di sanzione o restrizione nei confronti dell’Iran in una fase delicata per il successo dell’accordo internazionale sul programma nucleare iraniano firmato un anno fa e che dal punto di vista economico non ha ancora dato i frutti sperati.

Damasco, superata la delusione per la mancata uscita di scena di Erdogan, guarda con cauto ottimismo agli sviluppi politici e di diplomatici nella regione. Il presidente Bashar Assad non può che augurarsi che la vicenda Gulen allontani di più l’Amministrazione Usa dalla linea portata avanti per cinque anni da Erdogan di sostegno alle forze che vorrebbero abbattere il suo potere e instaurare un regime islamico sunnita a Damasco. Un ottimismo almeno in parte giustificato secondo il noto editorialista arabo Abdel Bari Atwan alla luce anche dell’intenzione ribadita lunedì dallo stesso Erdogan di migliorare le relazioni con tutti i “vicini” (Siria inclusa) e a mantenere una posizione di fermezza nei confronti dell’Europa e degli Usa. «Erdogan vuole rivedere le sue relazioni di amicizia con Washington e manifesta disprezzo per le minacce europee di mettere fine ai negoziati per l’ingresso della Turchia nell’Ue se Ankara farà ricorso la pena di morte (contro i golpisti)», ha scritto Atwan su raialyoum.com. «Le relazioni tra Turchia e Arabia saudita si sono raffreddate dopo le dichiarazioni (del premier) Yildirim di ripristinare i rapporti con la Siria…Nessuna delegazione dell’opposizione siriana è ancora andata ad Ankara per esprimere solidarietà ad Erdogan…», ha notato l’editorialista. «Non vogliamo correre a conclusioni affrettate e premature ma Assad potrebbe essere il principale beneficiario di tutto ciò», ha concluso Abdel Bari Atwan, aggiungendo di ritenere inevitabile a questo punto un rafforzamento delle relazioni tra Turchia e Russia come, con ogni probabilità, emergerà dal vertice Erdogan-Putin previsto il mese prossimo.