Le etimologie – bisogna dirlo – sono spesso ingannatrici, ma non sarà inutile ricordare che censura deriva da un verbo latino che vuol dire giudicare, ma anche registrare, come nell’italiano censire, da cui censimento, e censo.

Cioè la condizione economica delle famiglie, così come erano registrate dai magistrati censori creati nell’antica Roma quattro secoli prima di Cristo. Solo in un secondo tempo ai censori fu affidato anche il compito di sorvegliare i buoni o cattivi costumi dei cittadini. Altro passaggio: ciò che non risponde ai buoni costumi va proibito, rimosso e semmai punito.

Molto fa discutere la decisione dei più grandi social di cancellare Trump dalle loro autostrade digitali. Per quel che vale, sono contrario alle censure di Twitter e Facebook per ragioni di principio e poi di opportunità politica. Non sta a soggetti privati potenti in modo tanto abnorme amplificare o zittire a piacimento, né il presidente degli Usa, né il semplice cittadino che potrei essere io.

(E questo invece succede, anche in modo ridicolo, oltre che insopportabile: mi sono visto rimuovere l’immagine di un post su Facebook perché vi compariva il corpo di una donna parzialmente svestita: era una scultura romana precristiana. Che cosa può produrre l’ignoranza bigotta del consulente umano sommata agli automatismi dell’artificiale supposto intelligente?).

Inoltre silenziare Trump in extremis – oltre che impossibile: con i soldi che maneggia troverà il modo di farsi sentire, e farà anche più notizia – lo autorizza a fare la vittima. Infine: se le sue opinioni sono pericolose per il bene democratico comune, o se sono semplicemente illegali, ci sarà da qualche parte un magistrato che lo persegue e un giudice, si spera imparziale, che decide. Ed esistono, come abbiamo imparato, le vie legali costituzionali per metterlo nell’impossibilità di nuocere.

Sono quindi abbastanza d’accordo – per citare solo due dei molti interventi – con Pierluigi Battista che sul Corriere della sera ha osservato come le scelte delle enormi e monopolistiche piattaforme globali di comunicazione non siano equiparabili al diritto della direzione di un qualunque giornale di rifiutare un articolo.

E sono abbastanza d’accordo con Adriano Sofri, che sul Foglio insiste non solo sulle pur ambigue «ragioni di stato» che possono consigliare la tolleranza nei confronti di Donald Trump e degli stessi assaltatori del Campidoglio, ma si augura che la «vittoria dei buoni» voglia anche dire che qualcuno (non ancora rimbecillito dal potere) «sia capace di fare i conti con le storture profonde che sempre più spesso fanno vincere i cattivi».

Ecco il punto che mi sembra essenziale: che cosa origina queste “storture”? Non hanno torto quanti – come Fabrizio Barca – puntano il dito sull’incapacità delle sinistre, moderate o meno, di interpretare e correggere le ingiustizie sociali che generano disagio, rancore, rivolte, credenze ancestrali. Ma perché succede? Per cattiveria o loschi interessi di singoli e apparati?

Anche. Ma soprattutto perché sono in crisi, irreversibilmente direi, le culture politiche costitutive della democrazia moderna. Vale per i pallidi eredi del socialismo e del comunismo, e dei loro fallimenti, come per i liberali di fronte al triste esito politico del mondo anglosassone: Johnson e la Brexit, e il signore con le corna che spadroneggia a Capitol Hill.

Nemmeno la politica ispirata dal Cristianesimo, nonostante gli sforzi di Francesco, se la passa molto meglio.Sono idee concepite da maschi presuntuosi prima della rivoluzione femminista, prima della rivoluzione tecnica e scientifica, prima della rivoluzione ambientalista. Che altro deve succedere perché ce ne rendiamo conto?