Nel 2014 un nuovo boom. La Cina, dopo la crisi europea ha cominciato uno shopping di acquisizioni e investimenti, sfruttando la possibilità di accedere a tanti asset a prezzi bassi. Nel corso del 2014 sono state 79 le offerte pubbliche di acquisto in Europa da parte dei cinesi, mentre i cinque affari più grandi realizzati da investitori cinesi in Europa sono stati del valore di 6,6 miliardi di sterline nel 2014, rispetto al 1,4 miliardi di sterline delle imprese europee, come riportato dal britannico Telegraph.

«Nessuna azienda europea o fondo di private equity ha mai fatto un affare più grande di un miliardo di sterline in Cina, ma solo l’anno scorso ci sono state cinque acquisizioni cinesi in Europa di queste dimensioni», ha commentato al quotidiano britannico Graham Matthews, che collabora con Deloitte (l’azienda che ha effettuato le ricerche sugli ultimi investimenti europei cinesi) come partner delle M&A per la Cina.

Il rapporto della Deloitte, per altro, «contraddice i timori che il rallentamento della crescita economica della Cina potrebbe frenare gli investimenti. Lo scorso anno, gli investimenti stranieri in Cina sono scesi per la prima volta a maggio, in calo del 6.7% rispetto all’anno precedente». Naturalmente il rallentamento cinese spaventa i mercati internazionali. Rischia l’indotto di un mercato immobiliare sempre a rischio bolla.

Come ha scritto il Financial Times, «mentre la nazione più popolosa del mondo si avvicina a livelli medi di reddito, il suo modello di crescita guidato dagli investimenti alimentati dal credito, con la sua dipendenza da salari bassi, industrie inquinanti e costruzione di immobili, è a corto di vapore. Un rallentamento del mercato immobiliare surriscaldato – che ha avuto inizio lo scorso anno – dovrebbe continuare quest’anno. Si tratta di un ulteriore colpo alle industrie come l’acciaio, il cemento e il vetro, che sono affette da sovraccapacità cronica».

Infine il rallentamento provoca un abbassamento dei prezzi e «le economie dipendenti dalle materie prime, come Russia, Brasile, Venezuela e Angola sono già in difficoltà. Aspettatevi che questo trend continui», specificano al Wall Street Journal.