Il conto totale del Covid-19 per la Germania? Una cifra stratosferica: 1,3 trilioni di euro dall’inizio della pandemia. Emerge dalla risposta ufficiale del ministero delle Finanze all’interrogazione di capodanno del segretario Linke, Dietmar Bartsch. Da cui viene fuori, soprattutto, che questa valanga di denaro neppure basta. Nel 2021 il governo Merkel sarà costretto a prelevare dalle casse pubbliche altri 184 miliardi: rosso da pescare dal «Fondo economico di stabilizzazione» e da sommare al nero del bilancio federale, a cui mancano già 826,5 miliardi di mancati incassi dovuti al crollo del fatturato del made in Germany.
«Sì, ma chi pagherà, davvero, l’emergenza Coronavirus?» domanda Bartsch ai contabili del dicastero guidato dal vicecancelliere socialdemocratico Olaf Scholz. Lo Stato centrale, che ha messo sul tavolo 82,8 miliardi; poi i Comuni, obbligati a contribuire con 2,3 miliardi decurtati dal proprio budget; e infine, come al solito, i poveri. A cui verranno tagliati ben 27 miliardi, di cui 25,5 originariamente destinati alla disoccupazione e a compensare le ore di lavoro perse con Kurzarbeit, come si evince dall’analisi del network giornalistico «Redaktionsnetzwerk Deutschland».
«La crisi sta diventando molto costosa, e il conto aumenta ogni settimana. La Grande coalizione, finora, non si è preoccupata affatto di capire chi dovrà saldarlo», denuncia il segretario della Linke, preoccupato per «lo scarico del prezzo della pandemia sugli indigenti e la classe media nonostante le crescenti fortune dei super-ricchi».
Da qui la proposta della Sinistra per una «risoluzione di condivisione degli oneri da approvare al Bundestag prima della fine della legislatura», cioè entro il 26 settembre. «Se non inseguiamo adesso chi ha tratto profitto dalla crisi, le categorie meno abbienti domani verranno martoriate da tasse e tagli», è la previsione di Bartsch.
Il solito orizzonte dei comunisti? Mica tanto: sul tavolo del segretario Linke spicca in bella vista l’ultimo studio della società di consulenza Pwc e della banca svizzera Ubc, autorevoli fonti del capitalismo globale permanente.
Con i cadaveri stipati negli obitori, le terapie intensive al collasso (perfino nel paese-modello), e le famiglie e le Pmi ridotte sul lastrico dai lockdown, i miliardari della terra sono riusciti ad accumulare 8,7 trilioni di euro nel solo periodo aprile-luglio. Molto più del record del 2017, quando il cosiddetto libero mercato, in teoria, era aperto a tutto e tutti.
Negli ultimi tre anni il numero di “fortunati” con patrimonio pari o superiore al miliardo di dollari è passato da 2.158 a 2.189 . E grazie al boom della Borsa i mancati guadagni di marzo sono stati ampiamente compensati nei trenta giorni successivi, con gli introiti decollati del 27,5%.
In particolare – dettaglia la «Deusche Welle» – i miliardari coinvolti nel mega-business dell’assistenza sanitaria sono riusciti a gonfiare la loro ricchezza del 50,3%, ovvero a mettere in cassaforte ulteriori 658,6 miliardi di dollari «per merito della scoperta dei nuovi farmaci, delle innovazioni nella diagnostica medica, e grazie a trattamenti e attrezzature necessari a curare il Covid-19».
Insomma, la pandemia si conferma come l’affare del secolo per i grandi capitalisti. Sovvenzionati da fiumi di denaro pubblico, pompati dal floridissimo mercato azionario e ultra-protetti dall’ideologia liberal (rimasto il totem anche per una parte di sinistra) sono riusciti nel miracolo di sconfiggere il Coronavirus nel battibaleno di un mese esatto. Senza la fanfara della stampa, al buio dei riflettori di tv e social, nel silenzio più… mortale.