Il rapporto dell’Ipbes (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services) sulle interconnessioni tra biodiversità e pandemie, pubblicato il 29 ottobre scorso, è drammatico: gli stessi fattori responsabili del crollo della biodiversità e della crisi climatica stanno portando l’umanità nel bel mezzo di un’«era di pandemie».

Secondo il rapporto, se la natura continuerà ad essere sfruttata nella misura attuale, nuove pandemie minacceranno la nostra specie. E saranno sempre più frequenti, si diffonderanno più rapidamente, saranno più letali e distruttive del Covid-19.

COME SOSTENGONO GLI ESPERTI, il 70% delle malattie emergenti (es. Ebola, Zika, encefalite di Nipah) è causato da microbi trovati negli animali (zoonosi), che hanno fatto il salto di specie (spillover) a causa del contatto tra fauna selvatica, bestiame e persone. Quasi il 100% delle pandemie (es. Influenza, Sars, Covid-19) sono state causate da zoonosi. I ricercatori non hanno dubbi sui fattori che trainano le pandemie. «Le attività umane che causano il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità sono le stesse che, attraverso i loro impatti sul nostro ambiente, conducono al rischio di pandemia. I cambiamenti nell’uso del territorio; l’espansione e l’intensificazione dell’agricoltura; e il commercio, la produzione e il consumo non sostenibili sconvolgono la natura e aumentano il contatto tra fauna selvatica, animali allevati, agenti patogeni e persone. Questo è il percorso verso le pandemie», afferma il dottore Peter Daszak, presidente di EcoHealth Alliance, chiamato a presiedere il seminario Ipbes.

I NUMERI DEL RAPPORTO SONO IMPRESSIONANTI: dal 1992 al 2015 la superficie agricola è aumentata di 35 milioni di ettari, sottraendo suolo alle foreste tropicali e si prevede che un altro miliardo di ettari, saranno resi agricoli entro il 2050. E da tutta questa distruzione, si solleveranno virus fino ad ora sconosciuti. Il rapporto stima che esistano attualmente altri 1,7 milioni di virus «non ancora conosciuti» che utilizzano mammiferi e uccelli come ospiti. Di questi, tra 540.000 e 850.000 virus potrebbero avere la capacità di infettare le persone. David Quammen, nel suo libro Spillover, la chiamava «la polvere che si alza dopo una demolizione».
Il rapporto, redatto da 22 scienziati provenienti da tutto il mondo, dopo aver analizzato 600 articoli scientifici sull’argomento, è l’ennesimo (e sempre più forte) campanello d’allarme lanciato dalla scienza per iniziare a invertire la rotta.

Come i rapporti Ipcc sono incorporati nell’Accordo sul Clima, i rapporti Ipbes sono una base per la Conferenza mondiale sulla biodiversità che si terrà il prossimo anno a Kunming, in Cina. Vediamo se i governanti ne terranno conto.

GLI SCIENZIATI SOSTENGONO CHE FUGGIRE DALL’ERA delle pandemie è possibile, ma che ciò richiederà un cambiamento radicale (a seismic change). Secondo il rapporto, le attuali strategie «sanitarie», concentrate solo a controllare le malattie dopo la loro comparsa, la fiducia nella tecnologia, la rapida preparazione e distribuzione di nuovi vaccini e terapie, sono un «percorso lento e incerto con costi umani enormi».

Non solo, il rapporto sottolinea la disuguaglianza dell’accesso ai vaccini, alle terapie, nei vari paesi del mondo, e il danno alla biodiversità di alcune misure di emergenza (rilascio esagerato di sostanze chimiche, insetticidi, distruzione aree protette). Bisogna quindi, soprattutto, prevenire. Da non sottovalutare anche gli impatti economici: il probabile costo di Covid-19, fino a luglio 2020, è stato stimato tra 8-16 trilioni di dollari a livello globale, ed è destinato a crescere col proseguire della pandemia.

PREVENIRE COSTEREBBE, SECONDO GLI SCIENZIATI, 100 volte meno. «Possiamo proteggere insieme il clima, la natura e la salute umana», sottolinea Daszak. Il rapporto Ipbes fornisce quindi una serie di opzioni concrete di azione per i governi, tra cui: l’istituzione di un consiglio internazionale per la prevenzione delle pandemie; la protezione della diversità biologica; si sottolinea l’importanza di valorizzare l’impegno e la conoscenza delle popolazioni indigene e delle comunità locali nei programmi di prevenzione delle pandemie: molte terapie sono infatti derivate dalle conoscenze indigene e dalla medicina tradizionale.

SI CHIEDE DI PROMUOVERE UNA RIDUZIONE di quei modelli di consumo, di agricoltura globalizzata, di allevamento e di commercio globale che hanno portato al ripetersi delle pandemie, anche includendo tasse o fiscalità sul consumo di carne, sulla produzione di bestiame e altre forme di attività ad alto rischio pandemico. Gli scienziati chiedono di fare in modo che il costo economico delle pandemie sia preso in considerazione nei processi di produzione e consumo e nelle scelte dei governi. L’Ipbes mette in guardia sul traffico di animali selvatici, lecito e illecito, che va assolutamente ridotto/vietato.

LE CIFRE DI COME TRATTIAMO GLI ANIMALI SELVATICI sono spaventose: il 24% delle specie di vertebrati terrestri selvatici viene trafficato, scambiato, venduto a livello globale. Il valore del commercio legale internazionale di animali selvatici nel 2019 è di 107 miliardi di dollari (senza contare quindi il commercio illegale), con un aumento del 500% negli ultimi 15 anni (dal 2005). Il nostro impatto sulla biodiversità è devastante, e la natura non può che reagire. Ormai è chiaro che la crisi ecologica, climatica e sanitaria sono inscindibilmente legate. Ma il destino non è segnato, e gli scienziati ci indicano la rotta. Sta a noi agire, e chiedere ai governanti di fare la scelta giusta.