L’anno scorso l’attesa più grande è stata per il ritorno di Twin Peaks. E non è stata delusa. A venticinque anni di distanza si è ripetuto non un film ma un evento : la possibilità di sperimentare, in televisione, immagini inaudite. In un momento in cui il pubblico, in particolare quello cinematografico, regredisce dal punto di vista del linguaggio e quindi del pensiero al livello dei prolet di 1984. Il consumo decennale di film dal vocabolario formale atrofizzato è arrivato al punto che l’esercente di una sala negli Usa si è sentito in obbligo di avvertire lo spettatore dell’ultimo Star Wars che quest’ultimo comporta una scena in cui, per scelta artistica dell’autore (e non per un difetto della proiezione), ci sono ben dieci secondi di silenzio.

 

 
Allora, cosa c’è da aspettarsi dal cinema commerciale ? È chiaro che i blockbusters, figli o nipotini dell’industria in cui lavorarono Ford e Hitchcock, sono esangui. L’abbraccio del mercato cinese ha accelerato brutalmente la tendenza a sfornare intrighi irrisori e tipi umani senza spessore. D’altra parte, il terreno dove si combatte la resistenza alla stupidità non sembra sia quello della sceneggiatura, come pretendono certi cineasti della vecchia-nuova Hollywood – Spielberg in testa.
È certo che gli script sono sempre più insipidi. E i film in cui Spielberg ha cercato di dire qualcosa di importante sono, è cosa nota, dei veri e propri disastri. Il nuovo compromesso tra le idee dell’autore e l’esigenza del mercato si farà ancora una volta al livello della pura forma – che in ambito ultracommerciale, come hanno mostrato quest’anno Lynch da un lato e Ridley Scott dall’altro, può raggiungere livelli sublimi.

 
C’è da scommettere che la vecchia Europa andrà in direzione opposta, verso sempre già vecchi polpettoni alla Ken Loach o, su sponda francese, verso sermoni alla Jacques Audiard (il quale ci prepara un western, The Sisters Brothers, con Joaquin Phoenix). Alcuni nobili oppositori agli ayatollah della sceneggiatura si profilano all’orizzonte. Leos Carax dovrebbe terminare per Cannes un musical: Annette. Jean-Luc Godard ci regalerà un Livre d’images. Paul Verhoeven prepara una Santa Vergine (a quanto si dice bisognerà aspettare l’autunno per vedere la nuova versione dell’ossessione del cineasta olandese: seni bianchi insozzati di schizzi).
Anche dal più europeo degli indipendenti americani, Richard Linklater, ci si aspetta un segnavia sull’aspetto strutturale del cinema: Where’d You Go, Bernadette? è al tempo stesso il titolo del suo nuovo film e la domanda alla quale vorremmo che rispondesse. Ancora più intrigante sarà vedere uno dei più grandi formalisti dei nostri tempi, Apichatpong Weerasethakul, alle prese con quello che si annuncia essere il più politico dei suoi film : Ten Years Thailand.
Terminiamo con l’attesa delle attese: Terry Gilliam e il suo The Man Who Killed Don Quixote. Se volete sapere chi ha ucciso Don Chisciotte – vale a dire il cinema – dovete andare al cinema. Sempre che il film, questa volta, sopravviva alle riprese