Diciamolo subito: quella delle Borse europee che sarebbero crollate a inizio settimana per colpa della probabile vittoria di Tsipras è stata una balla mediatica pari a quell’altra che ha presentato il leader di Syriza come il sostenitore dell’uscita della Grecia dall’euro, come uno che vuole distruggere l’Unione europea.
Come sanno gli analisti finanziari, il crollo delle borse europee, ma anche di altre borse su scala mondiale, è un fatto strutturale legato ai cicli della speculazione finanziaria. Dopo cinque anni di capitalizzazione, di guadagni crescenti per gli investitori finanziari, è fisiologico che i grandi investitori pensino di tirare le somme, di portarsi a casa le plusvalenze. A differenza degli ideologi della crescita infinita, i vari Waren Buffet , Soros e soci sanno bene che gli extraprofitti della speculazione finanziaria sono legati proprio al fatto della volatilità dei titoli di Borsa. Sanno che i grandi guadagni si fanno più sulle disgrazie – il crollo della valuta di un paese piuttosto che dei prezzi della materie prime – che nei periodi di crescita costante dei valori. Come sanno gli addetti ai lavori, le operazioni finanziarie speculative sono un mix di calcolo razionale e di reazioni irrazionali ad eventi esterni. Il crollo verticale del prezzo del petrolio, la previsione di un altro anno di recessione in Europa, la Germania che rischia la deflazione, sono questi, insieme ad altri (come la crisi russa, il rallentamento cinese e di tutta l’economia globale) i fattori che hanno portato e porteranno nei prossimi mesi a vedere crollare i listini delle Borse europee, e non solo europee.

Siamo entrati in una fase in cui la maggior parte della popolazione europea comincia a capire che da questa crisi non se ne esce, che più si perseguono le politiche del rigore più la situazione peggiora. È in questo scenario cupo che la proposta politica di Tsipras sta facendo intravedere una luce tra tante tenebre e sta diventando un punto di riferimento.
Il primo merito di questo approccio alla crisi della Ue è quello di aver posto con determinazione la questione del debito pubblico come questione prioritaria da affrontare. Un debito pubblico insostenibile che produce deflazione (la cosiddetta «deflazione da debito» teorizzata da Hyman Minsky per la crisi degli anni Trenta) e conduce a una spirale di autodistruzione di risorse umane e materiali. Qui sta lo scarto con le forze della sinistra riformista (socialisti e socialdemocratici) che hanno criticato timidamente le politiche dell’austerity, chiedendo un alleggerimento del vincolo del tre per cento sul deficit ed un allungamento sui tempi di rientro del debito pubblico, o auspicando più investimenti per far ripartire la agognata crescita economica.
La proposta politica di Syriza va oltre la storica contesa tra monetaristi e cosiddetti neokeynesiani, perché pone al centro della politica economica la ristrutturazione del debito pubblico come conditio sine qua non per uscire dalla crisi, determinata per l’appunto dalla «schiavitù da debito».

Prima di dargli da mangiare e da bere, lo schiavo ha bisogno di essere liberato dalle sue catene. Vale a dire: non si tratta di allentare i vincoli dell’austerity di qualche punto percentuale, ma di mettere in discussione il rapporto «schiavo/padrone», di liberare i popoli europei dai lacci e lacciuoli dell’usura legalizzata, che ti umilia e distrugge il tessuto sociale e culturale sul quale era nata l’idea stessa di Unione europea.
Al contempo il programma politico di Syriza pone la questione della giustizia sociale come precondizione per ridare una speranza alla Grecia, per migliorare la qualità della vita delle popolazioni senza aspettare Godot (la fantomatica crescita futura). In sostanza, questa forza politica non si limita a dire «tagliatemi il debito», ma si pone allo stesso tempo l’obiettivo di una profonda trasformazione della politica economica, fiscale e sociale: tredicesima ai pensionati, energia elettrica e buoni pasto gratis a 300.000 famiglie in condizioni di estrema povertà, innalzamento della soglia free tax da 5 a 12 mila euro, cancellazione della tassa sulla casa e imposta solo per gli immobili di lusso, stipendio minimo da 586 a 751 euro al mese, creazione di una Banca Pubblica per sostenere le piccole imprese escluse dal credito, ecc.
È un programma politico realistico e ben articolato con effetti immediati ed è anche un messaggio chiaro per i ceti subalterni. Andrebbe approfondito e dibattuto, magari integrato sulla base delle specificità nazionali ed della cultura ecologista e pacifista in tutti i paesi europei. A partire dal nostro, che ha avuto il merito di costituire «L’Altra Europa con Tsipras» molto prima che il leader di Syriza diventasse un personaggio famoso e si avvicinasse alla vittoria. Un programma che dalla Grecia si dovrebbe estendere al resto del Vecchio Continente. Per salvarlo dall’implosione e dalla cecità imperante nelle cabine di comando.