C’è stato un ventennio a Milano, tra fine anni sessanta e primi novanta, nel quale la produzione culturale riuscì ancora a concepire forme originali di spettacoli, innovative ricerche nell’ambito delle arti visive e musicali, singolari esperimenti nel mondo della comunicazione, dell’editoria e della pubblicità, fuori dalle rigide leggi del mercato, in modo indipendente e autogestito. Gianni Sassi è stato l’incontrastato protagonista di quella stagione, prima che la città fosse anestetizzata dal conformismo generando solo «rovine», come ha denunciato un lustro fa su queste pagine Giovanni Agosti.

Il valore dell’impresa di Sassi è stato recentemente celebrato dalla Fondazione Mudima con una mostra a via Tadino e un documentatissimo libro-catalogo (Gianni Sassi, uno di noi) affidati al racconto di chi con lui ha condiviso ogni passaggio: Sergio Albergoni, il socio di mille imprese, Gino di Maggio, gallerista e critico d’arte, il fotografo Fabio Simion; e poi Monica Palla, la sua segretaria, Jean-Jacques Lebel, Aldo Colonetti, i poeti Arrigo Lora Totino e Nanni Balestrini, il fotografo Roberto Masotti e Marco Maria Sigiani.

Le loro testimonianze ci permettono di avere descritta fedelmente una avventura culturale e d’impresa davvero multiforme. Albergoni ricorda per esempio il «bel giochino» dell’Al.Sa, la prima agenzia di comunicazione di Sassi, che all’inizio degli anni settanta realizzava campagne pubblicitarie anti-convenzionali per marchi come Politoys, Iris, Mapei e Moët & Chandon, nella «ricerca spasmodica della sporcatura, del graffio, della sproporzione»: in una parola, réclame controcorrente.

Celebre il manifesto in cui un giovane Franco Battiato con parrucca e occhiali, il viso coperto di Ducotone bianco, stava seduto su un divano della Busnelli.

La provocazione, per Sassi non era mai il fine però, ma sempre il mezzo che mette in corto circuito i linguaggi, le forme stereotipate della comunicazione, il perbenismo dei comportamenti. È sufficiente scorrere le copertine degli album editi dalla CRAMPS Records, la casa discografica che produceva le tendenze musicali più all’avanguardia: Battiato, appunto, con gli lp Fetus e Pollution, dagli effetti provocatori (un feto) e stranianti, Eugenio Finardi, Alberto Camerini, gli Skiantos e soprattutto il gruppo degli Area di Demetrio Stratos.

Il rapporto con la musica merita un’attenzione particolare perché Sassi è stato forse l’unico ad avere il coraggio, sorretto da inconfondibile intuito, di amalgamare segno grafico e performance artistica, testi musicali (quelli per gli Area firmati con Albergoni, alias Frankenstein) e poesia visiva e sonora (quest’ultima raccolta nei box di Futura).

Con la creazione delle collane «DIVerso» e «Nova Musicha» Sassi estende i suoi interessi alla musica contemporanea, raccogliendo le incisioni di Juan Hidalgo e Walter Marchetti – insieme nel 1980 in 24h?Satie, esecuzione no-stop di tutto il pianoforte del compositore francese –, gli sperimentali Alvin Lucier, Horacio Vaggione, Petr Kotik, il gruppo degli «improvvisatori» di Nuova Consonanza e Derek Bailey, Steve Lacy musicista di jazz sperimentale, Martin Davorin Jagodic dalle singolari partiture grafiche, il poliedrico Paolo Castaldi, infine David Tudor e John Cage.

Le fotografie di Masotti ritraggono la serata che Cage tenne al Teatro Lirico di Milano nel dicembre del 1977 eseguendo Empty Words (Parte III): la recita del Journal di Henry David Thoreau trasformato, mediante la sottrazione di fonemi sul modello dell’oracolare I-Ching, in una performance di suoni e silenzi, che suscitò vivaci proteste perché – come scrisse Duilio Courir sul Corriere della Sera, – lasciava «poche speranze di essere compresa» a chi non si abbandonasse «al flusso estatico e affascinante del discorso musicale».

Seguì, sempre con il compositore statunitense, Il treno di John Cage: «viaggio di sperimentazione» da Bologna a Rimini che – ricorda Di Maggio – si colloca sul finire degli anni settanta, quando ormai si esaurisce anche il «lavoro propulsivo» della casa discografica. L’ultimo capitolo è costituito in pratica dalla «Woodstock all’italiana», il festival della rivista underground «Re Nudo» al Parco Lambro, nel quale si esibirono diversi autori della CRAMPS, oltre agli Area (Demetrio Stratos morirà a New York due anni dopo per una leucemia). In un decennio Sassi e i suoi, «quelli di piazzale Martini», consumano una quantità d’iniziative culturali. È una stagione piena di avvenimenti violenti, prodotti prima dallo stragismo di Stato, poi dalla deriva terroristica. Reagire a questo stato permanente di tensioni voleva dire, allora, riflettere sui meccanismi dell’industria culturale, sui suoi prodotti e consumi; ma, soprattutto, sui modi per esserne quanto più indipendenti, se non assolutamente liberi.

Ogni iniziativa di Sassi, che morirà nel 1993 a soli 55 anni, è all’insegna dell’avventura estetica e imprenditoriale: dalla galleria d’arte Breton, che spazia da Malevich a Mambor fino agli schermi in vetro dei flipper (Tilt), al ricco e composito impegno discografico (del quale si è detto), passando per l’organizzazione di rassegne culturali, come il festival internazionale Milano-Poesia (1984-’92) o la mostra (con Di Maggio) Ubi fluxus ibi motus, curata da Achille Bonito Oliva alla XLIV Biennale d’Arte di Venezia (1990).

Sassi, «abituato a produrre cantanti famosi e a condurre campagne pubblicitarie» (Lora Totino), è stato però, in particolare, un formidabile art director della carta stampata: inventivo nell’ideare riviste d’arte («Bit»), house-organ («Caleidoscopio» della Busnelli, «Humus» per Iris Ceramiche) e nel disegnare mensili come «Alfabeta», «Se» e «La Gola». «Alfabeta», edita dal 1979 all’88 per iniziativa di Balestrini, nasce nello stesso anno in cui inizia la repressione del Movimento, che costringe lo stesso Balestrini a riparare in Francia. La rivista per questa ragione si autogestisce – ha scritto Carlo Formenti – «con umiltà artigianale e spirito militante degni dei redattori di un foglio di quartiere». Il comitato è composto, oltre che da Sassi e Di Maggio, da Umberto Eco, Maria Corti, Franceso Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Mario Spinella e Paolo Volponi. «Irritata e irritante – ancora Formenti –, caustica, indignata, cattiva, provocatoria fino alla petulanza», «Alfabeta» ebbe il merito di rappresentare un riferimento politico e culturale essenziale per chi non si rassegnasse alla normalizzazione, svolta con l’assenso della sinistra storica.

Anche la grafica partecipava del carattere anticonformista del mensile: l’iconografia del tutto autonoma rispetto ai testi; il Times New Roman carattere tipografico dominante, con le sue «grazie», come prima lo era stato per i dischi quello a macchina-da-scrivere; le illustrazioni pescate in un vasto repertorio dal Surrealismo a Fluxus. Tutto doveva provocare sempre un’emozione visiva. Con «La Gola» l’esuberanza grafica sarà ancora più marcata e si legherà ai temi della cultura materiale.

Come scrive Alberto Capatti, «la parola food non circolava ancora, unendo cibo, poesia, arte e grafica…»: Sassi è stato così il primo a comprendere il valore identitario della produzione alimentare per i nostri territori, fuori dal mondo accademico e dall’industria. Jean-Jacques Lebel, suo «inseparabile fratello», ricorda come al «tempo di Gianni», durante la settimana di Milano-Poesia e per ogni altro suo evento, «la capitale più mercantile che spirituale della Lombardia» si trasformasse «in uno dei centri nevralgici della cultura universale in progress», prima di diventare «una città spettrale, una città di merda, come tante altre». Insieme ai suoi Sassi ha svelato, in fondo, in che modo la creatività, vivendo nel sociale, può farsi politica e sentimento.