«Non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è mafioso non vive da cristiano, perché bestemmia con la vita il nome di Dio-amore». Papa Francesco scende a Palermo, per il 25° anniversario dell’omicidio di padre Pino Puglisi, ucciso da Cosa Nostra il 15 settembre 1993, e ripropone, come già aveva fatto tre anni fa a Cassano allo Ionio in Calabria («i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati»), l’assoluta incompatibilità fra Vangelo, fede e mafia.

LA VISITA DI IERI IN SICILIA comincia a Piazza Armerina. Un rapido incontro con i fedeli nel campo sportivo in cui il papa sottolinea alcune «piaghe» che affliggono il territorio («sottosviluppo sociale e culturale, sfruttamento dei lavoratori e mancanza di dignitosa occupazione per i giovani, migrazione di interi nuclei familiari») e invita «ad andare alle cause dei disagi» e a «tentare di rimuoverle», senza cedere alla «tentazione mondana del quieto vivere, del passarsela bene, senza preoccuparsi dei bisogni altrui». Poi in elicottero a Palermo, per la messa al Foro Italico (il pratone del lungomare di Palermo) in ricordo di Puglisi, che qui venne beatificato e dichiarato martire di mafia il 25 maggio 2013. L’omelia segue il filo rosso dell’alternativa fra egoismo e amore, il primo incarnato dal desiderio di soldi e potere («chi vive per sé, chi moltiplica i suoi fatturati», liberarsi di una «vita piccola che gira attorno ai piccioli»), il secondo dall’impegno «per contrastare l’ingiustizia».

IN QUESTO CONTESTO, le parole antimafia di Francesco: «Non si può credere in Dio e sopraffare il fratello. Non si può credere in Dio ed essere mafiosi», «abbiamo bisogno di uomini e di donne di amore, non di uomini e donne di onore, di servizio, non di sopraffazione».

E poi l’appello che richiama quello di 25 anni fa (9 maggio 1993) di papa Wojtyla, nella Valle dei templi di Agrigento: «Convertitevi al vero Dio di Gesù Cristo. Io dico a voi, mafiosi: se non fate questo la vostra stessa vita andrà persa e sarà la peggiore delle sconfitte». Dopo il pranzo con i senza dimora ospitati da Biagio Conte e con alcuni detenuti e immigrati, la visita a Brancaccio (il quartiere dove Puglisi operava e fu ucciso). Quindi, in cattedrale, l’incontro con preti e religiosi, preceduto dal saluto di monsignor Lorefice, arcivescovo di Palermo, il quale ricorda che Puglisi fu «ucciso dalla mafia perché fedele al Vangelo» e invita i “suoi preti” a «superare la sacralità e la distinzione» e ad esercitare il ministero «senza pretese di dominio».

PAROLE POI RIPRESE da Francesco, che afferma che quello del prete «non è un mestiere ma una missione», che «il prete non è uomo del potere ma del servizio», che «va bandita ogni forma di clericalismo». E sulla questione Chiesa-mafia, invita a vigilare sulle manifestazioni di «pietà popolare» (feste patronali e processioni, dove spesso i boss sono in prima fila per dimostrare il loro dominio sul territorio): la «religiosità popolare» è importante ma non deve essere «strumentalizzata dalla presenza mafiosa, perché allora diventa veicolo di corrotta ostentazione». Infine l’incontro con i giovani, in piazza Politeama, prima di ripartire per Roma: «No al muro dell’omertà, un “ecomostro” che va demolito per edificare un avvenire abitabile. No alla mentalità mafiosa, all’illegalità e alla logica del malaffare, veleni corrosivi della dignità umana. No ad ogni violenza: chi usa violenza non è umano». «È stata una visita importante», spiega al manifesto Augusto Cavadi, fondatore della scuola di formazione etico-politica «Giovanni Falcone» e autore del Dio dei mafiosi (edizioni San Paolo).

«PURCHÉ NON FINISCA come quella di Wojtyla alla Valle dei templi: venne presa sul serio dai mafiosi, che iniziarono a mettere le bombe nelle chiese e uccisero Puglisi, ma non dai cattolici. Nelle parrocchie, tranne poche eccezioni, c’è ancora poca consapevolezza e coscienza politica del sistema di potere mafioso, si pensa ancora che la mafia sia solo morti ammazzati, e che quindi senza morti non c’è mafia. Le dichiarazioni dei vertici servono a poco, se la Chiesa non fa analisi e testimonianza sul territorio. Questo ha fatto Puglisi e per questo è stato ucciso».