La moda non ha una questione di genere e, tra i creativi che le hanno fatto attraversare i secoli, la parità fra femmine e maschi è passata anche attraverso l’omosessualità dei secondi. È forse l’unica creatività che abbia inventato l’unisex, che non è un’invenzione degli Anni 70 ma del 1700. Inoltre, ha fatto trasmigrare i capi di abbigliamento da un sesso all’altro senza creare traumi identitari. Due esempi su tutti, la gonna e la redingote che erano maschili e che, in epoche storiche diverse, sono passate nel guardaroba femminile.
Ma sulle dinamiche del potere la moda ha sempre sorvolato sull’argomento, soprattutto da quando il sistema industriale-finanziario si è appropriato del settore. Nel 2017 si può senza dubbio affermare che le donne sono al comando creativo di molti marchi decisivi della moda internazionale e molte battono i maschi in autorevolezza. Facciamo un rapido elenco. Rei Kawakubo, giapponese che ha abbattuto la regola della coerenza della forma anatomica, è la stilista più autorevole del mondo, fonte di ispirazione per chiunque e di qualsiasi generazione si confronti con la moda. Il suo merito principale è l’indipendenza, che si è saputa conservare non lasciandosi ingannare dal canto delle sirene della finanza. Rispetto ad altri marchi, il fatturato del suo Comme des Garçons è inversamente proporzionale allo status economico.

A capo di un impero da 3 miliardi e mezzo di euro è invece Miuccia Prada, autrice della moda dei marchi Prada e Miu Miu. Con il suo procedere creativo che si riferisce alle dissonanze filosofiche e a un’estetica che utilizza i valori dodecafonici, è lei il punto di riferimento di chiunque pensi che la moda non si esaurisca nei vestiti. Per questo, senza volerlo, ha creato una scuola in cui si ritrovano allievi riconosciuti (quelli che hanno lavorato con lei) e non che, insieme, formano la grande squadra composta da molti «epigoni sbagliati» della sua visione (il suo metodo non è replicabile). Dallo scorso luglio, alla direzione creativa di Dior c’è Maria Grazia Chiuri, la prima donna alla testa del marchio fondato da Mr Christian che, nel 1947, con il New Look ha provocato una rivoluzione del costume. La sua nomina ha fatto storcere un po’ più di un naso tra chi guarda con sospetto un approccio femminile a una moda da sempre pensata da maschi. E, ancora, le donne al comando dei grandi marchi sono tante.

Donatella Versace regge benissimo da quasi 20 anni il marchio fondato dal fratello Gianni e Alberta Ferretti è una salda sostenitrice del proprio stile. In Francia, Phoebe Philo è da 10 anni alla guida di Céline mentre a sostituire Riccardo Tisci da Givenchy c’è Clare Waight Keller, in arrivo da Chloè dove ora siede Natacha Ramsay-Levi e, dopo l’uscita di Alber Elbaz, Lanvin è disegnato da Bouchra Jarrar. A Londra, le due stiliste più seguite sono Sarah Burton, da sempre al fianco di Alexander McQueen che ha sostituito dopo la scomparsa nel 2010, e Stella McCartney.
Ma basta questo per dire che nella moda le donne sono al potere? La provocazione che lancia ManiFashion è che no, non basta. Sono poche le Ceo di marchi importanti (Francesca Bellettini da Yves Saint Laurent) come sono pochi gli omosessuali maschi nelle stanze dei bottoni. Entrambi, per un «non detto» che vige in questo settore molto liberal, sono tollerati se restano nelle stanze creative. In quelle del potere siedono perlopiù maschi di ostentata eterosessualità, che i diretti interessanti sottolineano in ogni occasione per marcare la differenza.

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