«Non so a che cosa si riferisse il presidente del Consiglio, ma penso che in questi mesi noi tutti abbiamo avuto un atteggiamento di grande responsabilità». Gianni Cuperlo risponde così a Renzi, che venerdì era stato duro contro «una minoranza» che «riapre sempre discussioni che sembrano chiuse», dal convegno organizzato a Milano sotto le insegne di Sinistra Dem, ultima nata nella gauche plurielle Pd. Arrivano tutti, da Civati a Fassina a Orfini a Gennaro Migliore, ex Sel, a Carlin Petrini. Cuperlo ricorda che la minoranza ha votato l’Italicum «anche quando non condivideva gli emendamenti indicati dal gruppo» e anticipa che alla fine farà altrettanto sul trittico di riforme (Senato, legge elettorale e Titolo V)perché «questa volta un fallimento non ci sarebbe perdonato».

Ma non tutti la pensano così. Civati attacca il segretario-premier: ha «un sacco di problemi con le minoranze più di quanti ne abbiano le minoranze con lui: è una gestione al limite dell’autoritarismo in alcuni passaggi». Anche Fassina non usa mezzi termini: «Va valutato tutto il pacchetto delle riforme. E senza un impegno a cambiare l’Italicum è difficile accettare la riforma del senato». Migliore, alla sua ’prima’ in casa dem dalla fuoriuscita da Sel, chiarisce: «Non esco da un partito per iscrivermi a una corrente». E chiede «correzioni alla legge elettorale: lavoriamo sui collegi o sulle preferenze, e soprattutto sulle soglie di sbarramento». Colpi di fioretto fra lui e Curzio Maltese, europarlamentare della Lista Tsipras vicino a Sel. A fine giornata Cuperlo capitalizza molte presenze, ma schierate in ordine sparso.

Così come in ordine sparso prosegue la discussione sulla segreteria del Pd, organismo in stand by dalla nascita del governo – e cioè da quattro mesi – con quattro membri traslocati a palazzo Chigi. Non che delle riunioni alle sette di mattina in molti sentano la mancanza, democratici e non. La nuova segreteria dovrebbe nascere la prossima settimana, una volta che Renzi avrà chiuso il dossier delle nomine europee. Le sinistre in entrata (cuperliani di stretta osservanza e riformisti ex bersaniani) scaricano la colpa del ritardo sulle contraddizioni in seno al renzismo. Dall’altra parte invece c’è chi spiega che sono le minoranze a non mettersi d’accordo, come del resto era successo per la presidenza dell’assemblea Pd, risolta con la scelta di Renzi sul ’turco’ Matteo Orfini. I riformisti proporrebbero quattro nomi (i boati segnalano Leva, Campana, Giorgis e Amendola) i cuperliani almeno tre (De Maria, Provenzano, La Forgia). Ma i nomi dipendono anche dagli incarichi. Fuori i turchi, che si sono guadagnati la casella della presidenza, e fuori i civatiani (il responsabile economico Taddei viene in effetti da quell’area, ma Civati declina la responsabilità). E però così i conti non tornanano: i renziani finirebbero in minoranza. E la palla rimbalza di nuovo in mano a Renzi.