Ora che sotto le feste tutti si precipiteranno a fare bilanci e previsioni sugli spettacoli da ricordare o da augurarsi, Milano e Torino hanno offerto due fulminanti visioni (di cui il manifesto ha già raccontato) che, al di là della loro eccezionalità, costituiscono da sole un esplosivo volume sulla rappresentazione e il suo senso profondo. Alla Scala è stata fortunatamente ripresa nelle scorse settimane l’edizione della Elektra di Richard Strauss e Hugo von Hoffmansthal che Patrice Chéreau realizzò pochi anni fa, ultima sua regia prima di morire. Di Alain Platel e Fabrizio Cassol il Teatro stabile di Torino e la rassegna Torinodanza hanno presentato l’ultima creazione, Requiem pour L., immagini sconvolgenti che davanti all’immagine di una donna in cammino verso la morte, mostra una trascinante band multietnica e multicontinentale che suona e agita il Requiem di Mozart, studiato, sezionato e «tradotto» nei suoni e nelle evocazioni ritmiche di oggi (coordinati in scena dal chitarrista congolese Rodriguez Vandama). La Elektra di Chéreau è del grande regista francese una sorta di testamento artistico, che egli ha realizzato, già malato, e che si pone, attraverso la magnifica creazione di quei due geni del novecento, come una indagine e quasi «ri-sistemazione» di valori primari: la vita e la morte, il sangue e la vendetta, il delitto e la sua espiazione, il senso stesso della «famiglia» di cui gli Atridi costituiscono dai tempi di Eschilo l’esempio più complesso e profondo.

LA SCENOGRAFIA fatta di «case» e portoni, di Richard Peduzzi, delimita lo spazio dei rapporti tra le persone, i loro desideri anche inconfessabili, le contraddizioni, i tradimenti, i delitti, le speranze di un domani migliore. Verso il futuro, o anche forse per tornare al passato, come nel frattempo Pasolini ci ha con la sapienza e la visionarietà della poesia indagato e raccontato, facendo perno proprio sulla vicenda archetipica di quella famiglia nell’antica Grecia, o forse di oggi. Platel compone invece un rito che è insieme di cordoglio, quasi di espiazione, ma anche di positivo esorcismo, davanti a quella morte quasi «conquistata» da quella creatura malata.

UNA AGONIA cui capita forse a molti oggi di assistere e partecipare, tra assenze e improvvisi, isolati e dolci momenti di reattività. Uno spettacolo potente e perturbante, in cui i suoni e i movimenti di cantanti e suonatori riallacciano il legame con la vita e la sua speranza. Due spettacoli che parlano e restano dentro al cuore e alla mente di ogni spettatore, e che ridanno al teatro una funzione e un senso che spesso rischia di perdere.