Sul labile confine che separa il gossip dallo status da diva, dalla cerimonia degli Oscar ai lustrini di Las Vegas, Cherylin Sarkisian LaPierre in arte Cher, ha attraversato ere geologiche musicali, finendo spesso sulle copertine dei magazine per le sue stravaganti mise, i ritocchi di chirurgia estetica e l’avventurosa vita sentimentale. Raro però trovare nel mondo dello spettacolo un personaggio così camaleontico, a perfetto agio in più territori risultando (quasi) sempre credibile. Anche oggi, a 72 anni, si muove sicura fra più progetti: dischi, un tour in preparazione, un musical sulla sua vita che esordirà il 3 dicembre a Broadway – The Cher Show –, giusto un giorno dopo la consegna del Kennedy Center Honor. Già perché la vita di Cher sembra proprio un musical: ascese ardite, qualche crollo e poi repentine risalite.

Una diva che cavalca il kitsch con nonchalance, come dimostrano i quindici minuti quindici finali in cui appare nel sequel di Mamma mia. La sua discesa dall’elicottero sull’isoletta greca, nell’improbabile ruolo della madre (!) di Meryl Streep, stivali camp e abito bianco attillatissimo – una via di mezzo fra Gloria Swanson e Joan Collins, vale da sola la spesa del biglietto. «Non ho mai programmato nulla nella mia vita – racconta sorniona in una recente intervista – nemmeno di entrare nel cast di Mamma Mia. Mi ha chiamato Ronnie Meyer – amico ma anche mio agente – e mi ha detto devi fare quel film. Punto». Chissà, certo dopo quella sorta di cameo extra large – in cui ruba letteralmente la scena a tutti – deve aver pensato che un disco celebrativo degli Abba poteva funzionare. E arriva così Dancing queen – (dal 28 nei negozi su etichetta Warner) a cinque anni da Closer to the truth, album di electro pop un po’ sottovalutato.

Copertina iconica, Cher allo specchio, bionda e bruna a fare il verso alle due voci Agnetha e Frida che del quartetto svedese erano le front woman. «Sembravano pezzi facili, ma non è affatto vero. Sono costruite con un’abilità impressionante e sono estremamente difficili da cantare. Ho impiegato parecchio per entrare nel mood giusto». Dal canzoniere degli Abba per questa celebrazione del pop ad alto tasso glicemico – ma che alla fine confessiamolo cantiamo tutti – sceglie i pezzi più noti. Dalla ballata disco che dà il titolo al nuovo progetto, a Gimme gimme gimme – campionata da Madonna tredici anni fa per la celeberrima Hung Up – in cui Cher infila anche autotune e vocoder in una sorta di autocitazione di Believe, il suo mega hit del 1998. Arrangiamenti che mantengono una certa fedeltà all’originale – aggiornati il giusto con effetti elettronici e una ritmica proto disco – con l’eccezione di One of us, pensata e interpretata come una ballad a cui Cher dà una connotazione decisamente intensa. «Nei ’70 non posso dire di essere stata una grande fan degli Abba, Benny (Anderson insieme a Björn Ulvaeus autore di testi e musiche, ndr,) ‘usava’ le voci delle ragazze come strumenti, un po’ come Sonny faceva per me. Ma non concedeva né a Frida né a Agnetha la possibilità di di personalizzarle».

Cher conosce la macchina del successo e i suoi compromessi, non si tira indietro solo su un tema, il Trumpismo: «Non temo di alienarmi i fan che mi amano ma che lo hanno portato alla Casa Bianca. Non posso dare la colpa a loro, quello che odio è il fatto che Trump usi la sua carica semplicemente per fare più soldi. E che stia facendo arretrare gli Stati uniti sul tema dei diritti civili. È terribile».