Dopo la conquista di un deputato con l’1,29% dei voti alle scorse legislative del 2019, la destra populista del Chega (in italiano Basta) sta cercando di crescere nei consensi. Il suo leader André Ventura, una lunga carriera politica nel centro-destra e una popolarità costruita come commentatore di calcio, è dato ora dai sondaggi all’8% per le legislative e al 10% per le presidenziali, mostrando una capacità di attrazione sulla sua figura maggiore di quella rappresentata dal suo partito.

LA STRATEGIA DI VENTURA è quella di accreditarsi come alleato credibile nel campo moderato. Tuttavia, nonostante i toni pacati, Chega condivide sostanzialmente tutti i valori della destra populista europea ed è membro del gruppo Identità e Democrazia – di cui fanno parte anche la Lega e il Rassemblement National di Marine Le Pen. Radici cristiane, ultraliberismo in economia, lotta all’immigrazione e riforma del sistema politico sono i quattro pilastri del suo programma.

Primo pilastro: nella dichiarazione di principi pubblicata sul sito del partito le radici «greco romane e giudaico cristiane» sono indicate essere il valore strutturante della società portoghese ed europea. Chega da una parte si fa paladino della difesa della famiglia tradizionale e quindi di una revisione di tutte quelle norme volte a promuovere i diritti civili e di uguaglianza tra donna e uomo e tra coppie omossessuali ed eterosessuali. Dall’altra promuove uno stato minimo, ridotto alle sue funzioni essenziali soprattutto per quel che riguarda il mantenimento dell’ordine. Un punto questo assolutamente centrale: inasprimento delle pene, castrazione chimica e introduzione dell’ergastolo sono solo alcune delle proposte di Ventura.

SECONDO PILASTRO: l’economia. Un carico fiscale che dev’essere ridotto al lumicino e un’imposizione diretta (Irs) che dev’essere in prospettiva abolita, o quantomeno resa proporzionale (Flat Tax) e l’arma del dumping fiscale tra paesi del continente inteso come arma necessaria e virtuosa di concorrenza e competizione. Uno stato minimo che, vale la pena sottolineare, si traduce anche in un’ampia riduzione/cancellazione dello stato sociale e, laddove possibile, subappaltando ai privati tutti i servizi, dalla scuola agli ospedali. Infine la lotta alla «sussidio dipendenza» come forma per «incentivare» i portoghesi a essere più dinamici nel mercato del lavoro.

TERZO PILASTRO: immigrazione. Ridurre al massimo l’ingresso di stranieri ed evitare forme di multiculturalismo in nome della difesa ad oltranza dell’identità. C’è poi il nemico interno. Gli inassimilabili: la comunità Rom.

Quarto pilastro: la stesura di una nuova costituzione che porti alla nascita di una IV repubblica. Alla base del nuovo patto costituzionale un capo dello stato che è anche primo ministro, da eleggersi direttamente e la cui forza non sembrerebbe essere limitata dai check and balances tipici delle repubbliche presidenziali. Anche la riforma dello stato sociale passa inevitabilmente dalla revisione della costituzione. Si propone cioè l’abolizione di tutti quegli articoli che hanno come obiettivo quello di garantire l’uguaglianza, la redistribuzione del reddito e il welfare state.

Insomma in qualche modo il progetto del Chega sembra avvicinarsi da un punto di vista teorico all’idea di stato simile a quello delle cosiddette democrazie illiberali di cui l’Ungheria di Viktor Orbán è uno degli esempi più importanti.

LA DOMANDA CONCLUSIVA È: può un partito all’8% rappresentare un rischio per l’attuale modello di democrazia liberale e sociale sancito dalla costituzione del 1976? A livello teorico no, ma in pratica l’influenza della destra populista potrebbe essere molto maggiore di non quanto si possa pensare. Tutto dipende dalla capacità del centro destra, che col Chega è già in trattative, di uscire da una lunga crisi e dal risultato delle elezioni di oggi che, in qualche modo, potrebbero rappresentare o una battuta d’arresto o un volano per crescere ulteriormente.