Il dibattito parlamentare, sia alla Camera che al Senato, era molto atteso, dopo le critiche piovute dalle opposizioni, ma anche dai soliti renziani e da qualche piddino, sull’uso sproporzionato del Dpcm, decreti della presidenza del Consiglio, emanati a raffica per affrontare le situazioni di emergenza, imposte dal Coronavirus. Ma sia il livello della discussione che i comportamenti in aula, in particolare della destra, non solo sono stati deludenti e perfino ridicoli: sono diventati un assist al governo e a Conte. Il quale di fronte alle critiche si è dimostrato più capace e più abile dei leader che lo attaccano.

Prendiamo Renzi, oggi capo di Italia Viva. Come fa a invocare la difesa della Costituzione quando lui per primo ha cercato di stravolgerla – e per sempre – con un referendum? E cosa c’entra il populismo – accusa a Conte – quando semmai siamo di fronte ad un eccesso di dirigismo governativo?

L’unica cosa da prendere sul serio è la sua minaccia di uscire dal governo. Ma che sia proprio lui a indicare il pericolo dell’uomo solo al comando, uno “stile politico” da lui inaugurato – e subito segnalato dal nostro giornale – appare quantomeno paradossale. Soprattutto se accompagnato dal miserevole tramestio parlamentare dell’ex Pd con il manovriere per antonomasia, Gianni Letta, per trovare i numeri necessari a un governo di “emergenza nazionale”.

E la Lega? La gazzarra sulle mascherine (che Conte a debita distanza da tutti ovviamente non indossava mentre faceva il suo discorso), è sembrato un tentativo penoso di attirare l’attenzione da parte di chi non ha più in mano l’arma della paura, oggi saldamente contagiata dal virus.

Forse per questo, insieme a Fratelli d’Italia, ha brandito un’altra arma, quella mediatica, sventolando Repubblica come alfiere delle critiche cavalcate dalle destre, magnificandone la linea politica: “Questa è Repubblica non è Libero”. (Un segno dei tempi immaginiamo imbarazzante per chi legge e scrive quel giornale, e per Scalfari che domenica lo ancorava al pensiero liberal-socalista).

In Parlamento ha risuonato il grido sfiatato di queste opposizioni che chiedono condoni, insultano Conte sul piano personale, parlano di dittatura, agitando l’armamentario spuntato di chi vuole rappresentare un elettorato che, dando retta ai sondaggi, nemmeno gli va più tanto dietro.

Tutte le destre di ogni ordine e grado nei due rami del Parlamento hanno difeso la democrazia, la Costituzione, dimenticando che alcune date che puntellano la nostra storia, il nostro vivere civile, la nostra memoria, gli provocano una insopportabile orticaria: nei giorni scorsi il 25 Aprile, giorno della liberazione dal nazifascismo, e oggi il Primo Maggio, con lo sventolio tradizionale delle bandiere rosse che inneggiano al lavoro. (E non a caso Salvini ha penosamente puntato il dito contro “un paese ostaggio della Cgil”). Abbiamo avuto un ulteriore rappresentazione di che Repubblica ci ritroveremmo con queste destre al potere.

Chi critica il governo aveva a disposizione proprio l’occasione del Primo Maggio, che per la prima volta passerà alla storia come festa senza lavoro. Perché chi ha delle riserve sull’uso dei Dpcm, e invoca maggiore libertà, anche di movimento, forse sottovaluta la situazione sociale nel Paese. Le emergenze vere – e più sentite dagli italiani che sembrano appoggiare in maggioranza il governo – sono la difesa della salute e l’economia. E quindi i redditi che entrano nelle case degli italiani, la ripresa del lavoro, le sicurezze anti-virus.

Ecco perché Conte ha buon gioco. Ieri ha spiegato i prossimi passi del governo e le ragioni dello scostamento di Bilancio di 55 miliardi di euro assegnati a famiglie, disabili, spettacolo, lavoro di cura, debiti della pubblica amministrazione, imprese. Spiegando che “non è un programma elettorale”. (Per chi lo accusa di populismo, anche perché sulla Fase2 le misure di cautela potranno anzi rivelarsi impopolari).

Il presidente del Consiglio ha parlato delle riaperture, delle Regioni, dello strumento dei decreti, confortato anche dal Pd, con il vicesegretario Orlando che ha difeso l’azione di palazzo Chigi (“Il problema non sono i Dpcm, ma le banche che non stanno facendo il loro lavoro”). Ha poi ricordato il principio semplice ma generale che “non esiste ripresa economica senza sicurezza sanitaria” e che “non esiste ripresa senza un ripensamento del modello di sviluppo”. A fare da sponda, la sinistra di Liberi e Uguali nel dare voce alle cifre dei milioni di lavoratori che ricevono la cassa integrazione, i 600 euro, 800 dal prossimo provvedimento, insistendo sul reddito di emergenza.

Ricorderemo questo come un Primo Maggio davvero unico, particolare e speriamo irripetibile. Siamo in una fase di grandi difficoltà, con l’economia a picco, milioni di famiglie che combattono ogni giorno per la sopravvivenza e ancora non vedono una luce in fondo al tunnel, con una paura di vivere che si percepisce soprattutto tra la popolazione di una certa età, e quindi quasi metà del Paese.

Per tutto questo la festa del lavoro oggi coincide con la prova della ricostruzione, forte, sentita, partecipata, condivisa, del nostro Paese. Ma l’Italia ha un forte bisogno di un’altra Europa. Altrimenti rischieremo di vivere il futuro in mezzo a troppe macerie.