Volenterosamente, scontando l’accusa di ingenuità, mi dispongo a pensare bene, a inibirmi sospetti maliziosi circa la norma contemplata nel decreto fiscale – il celebre art. 19 bis – che potrebbe avvantaggiare Berlusconi. Poniamo dunque che non vi sia stato dolo, che vi siano state solo distrazione e una svista. Nonostante che, più si ricostruisce il percorso seguito dal decreto, tra commissione tecnica, ministero dell’economia, consiglio dei ministri, palazzo Chigi, più ci si imbatte in versioni discordanti e meno si viene a capo dell’enigma. Compreso il curioso ritiro del testo distribuito agli stessi ministri in sede di consiglio.
Prendiamo pure per buona la personale assunzione di responsabilità da parte del premier («la manina è la mia»), apprezzabile, ancorché in certo modo politicamente obbligata, ma che francamente non può chiudere il caso.Tuttavia, insisto, escludiamo il dolo e la caccia a eventuali, anonimi autori, diamo per non sentite le versioni di fonte berlusconiana che accreditano invece la tesi opposta, di un accordo siglato nello spirito del patto del Nazareno. Stiamo pure alla versione che lo stesso premier ci fornisce e alla sua rivendicazione della bontà di una norma che si riserva di riproporre il 20 febbraio prossimo, con l’elezione del Quirinale ormai alle spalle.

Residuano comunque quattro problemi.

Primo, appunto, la tempistica: differire il problema, che meriterebbe invece di essere sciolto subito, accentua semmai i sospetti. Quasi che prima si vogliano incassare i voti necessari all’elezione del presidente della Repubblica per poi ripagare il Cavaliere. Non una buona idea. Certo non la soluzione migliore per rimuovere maliziose interpretazioni.

Secondo: la questione di merito. Molte e autorevolissime sono le voci competenti di chi sostiene che la norma è sbagliata in sé, tecnicamente ed eticamente: Gallo e Pellegrino, Flick e Vincenzo Visco, fino alla nuova direttrice dell’Agenzia delle entrate Orlandi. Con argomenti efficaci, tipo la gravità dei reati di frode e di false fatturazioni, il privilegio riservato ai grandi anziché ai piccoli evasori, il limite di una soglia fissata in termini percentuali che depenalizzerebbe anche cifre cospicue in valore assoluto. Trattandosi di obiezioni di merito, Renzi non può cavarsela rivendicando l’autonomia e il primato della politica rispetto al parere dei tecnici. Dovrebbe offrire motivazioni persuasive nel merito.

Terzo: la rituale tesi secondo cui una norma buona erga omnes non deve essere revocata solo perché, accidentalmente, avvantaggerebbe Berlusconi. A parte che – lo rammento – questo è il classico argomento con il quale si sono varate tutte le leggi ad personam e ad aziendam degli ultimi vent’anni. Ma il punto decisivo è un altro. Trattasi di un argomento debole. Mi rifiuto di pensare che non sia possibile disciplinare un fisco «giusto e amico», senza pagare il prezzo di trasmettere all’opinione pubblica il devastante messaggio dell’azzeramento degli effetti di una sentenza che non è sentenza qualunque. Specie nel suo profilo più sensibile, quello delle pene accessorie ex legge Severino circa l’incandidabilità dell’ex premier. Davvero, in un paese come il nostro, afflitto da endemica illegalità, un governo e un parlamento possono permettersi di considerare irrilevante un messaggio di questo tenore? L’etica pubblica non è un bene prezioso anch’esso insieme a un fisco giusto?

Infine, il mantra della cosiddetta ossessione dell’antiberlusconismo che ci avrebbe afflitto in passato. Una sciocchezza che, ancorché ripetuta mille volte anche a sinistra, sciocchezza resta. Possibile che si sia così leggeri e immemori? Che si esorcizzino venti anni nei quali l’uomo di Arcore ha rappresentato un serissimo problema per il tessuto civile e democratico del paese? Al punto da bollare chi lo ha politicamente avversato come un visionario alle prese con i fantasmi e quell’azione di contrasto come una colpa o come espressione di estremismo. Insomma, ci si dice che non avremmo dovuto opporci o quantomeno che avremmo dovuto farlo solo un po’, senza esagerare…Ripeto: è una colossale sciocchezza, una esorcizzazione della nostra storia recente e una intollerabile ingiustizia verso chi, doverosamente, si è adoperato per arginare una deriva che ancora stiamo pagando.