Ormai le serie tv o web sono state sdoganate anche dai più tradizionali festival di cinema, e Berlino che tradizionale non è quest’anno ha dedicato alle serie nientemeno che una delle sezioni di maggior prestigio, Berlinale Special. La selezione dei materiali comprendeva serie (nord)europee accanto a quelle americane. In apertura la serie italiana, 1992, ovvero Tangentopoli a puntate con Stefano Accorsi, sui piccoli schermi italiani ora, Deutschland 83, una serie tedesca dedicata alla crisi nucleare tra Reagan e l’Urss, come tedesca è Blochin, corruzione e polizia noir, ambientata a Berlino, l’israeliana False Flag uno spy thriller in cui un israeliano viene coinvolto nell’accusa di aver rapito un ministro iraniano, Bloodline storia di rivalità tra fratelli, ambientata in Florida, la svedese Blue Eyes, in cui una parlamentare conservatrice viene uccisa e i suoi figli si radicalizzano nell’intento di vendicarla, la danese Follow the Money, e Better Call Saul, spin off di Breaking Bad.
Bloodline, prodotta dal team di Damages, ha un cast stellare che va da Sissy Spaceck a Sam Shepard a Kyle Chandler e racconta i segreti di una famiglia di albergatori del Sud mescolando il melodramma domestico stile anni Cinquanta con il rapporto d’amore e odio tra i due fratelli, il bravo ragazzo e la pecora nera, e segmenti noirish alla True Detective, con l’inesorabile voce fuori campo e le altrettanto scontatissime paludi nebbiose e melmose della Florida. Perdibile.

Molto buona invece la serie danese Follow the money, prodotta dal team che aveva realizzato Borgen. Attenzione al sociale e ai complotti dell’alta finanza, segue le attività di uno spericolato quanto cinico finanziere delle energie pulite, in particolare dell’eolico (che è prodotto doc in Danimarca) di una giovane arrampicatrice, l’avvocatessa della ditta, ma intreccia i complotti finanziari che hanno prodotto la crisi con le vicende di due ladruncoli di automobili, che rubano la BMW sbagliata, quella con due milioni di euro cash, e un poliziotto alla ricerca della vera giustizia sociale, che si occupa delle morti accidentali dei lavoratori ucraini sulla piattaforma eolica. Come Annika o altri prodotti del Nord lo sguardo sulla corruzione e sui mali della società è quasi spietato, l’intreccio giallo ben costruito, ma gli interpreti, come nei film tratti dai romanzi di Larsson, mancano del glamour e sex appeal dei protagonisti delle serie americane. Comunque questa si che è una serie che ti appassiona passando per la testa.

Deutschland 83 ha un ottimo spunto narrativo e un interprete giovane molto efficace (Jonas Nay), un ragazzo dell’Est costretto a diventare una spia per seguire la crisi dei missili nucleari posizionati da Reagan verso l’Impero del Male sovietico. L’elemento più interessante è il modo in cui parte da una spy story da guerra fredda per trasformarla in un racconto delle motivazioni interne al crollo del muro, quando le due Germanie si sono rese conto che tra Usa e Urss il loro ruolo era diventato quello di un pericoloso cuscinetto, che poteva saltare in aria, distruggendo entrambe, con riferimenti allo sviluppo della controcultura giovanile, musicale e politica, di quegli anni. Qualche ingenuità (o citazione ironica tra Goldfinger e Pantera rosa?) con la giovane spia colta a sorpresa da amici e nemici, inclusa la cinese che lo assale con le arti marziali, catapultata dal giovane militare da una balaustra altissima, che si rialza con una capriola: risate inevitabili, ma la fiction tiene un buon ritmo e la vicenda coinvolge.

Resta da vedere ora se le serie sono davvero la via d’uscita alla crisi mediatica globale, come i soliti falsi profeti vanno annunciando, o una diversificazione del prodotto che permette, però, di trattare di politica e del sociale dentro a un racconto popolare, a puntate, come il vecchio caro feuilleton, che non a caso si occupava dei misteri e dei mali delle metropoli.