L’inverno del nostro scontento calcistico continua. Esclusi gli exploit juventini, due finali di Champions perse in tre anni, come al solito con la neve il pallone italiano si scioglie e dice addio alle competizioni continentali. Non è solo un problema di risultati. Per adesso abbiamo due squadre (la Lazio e il Milan) già qualificate agli ottavi di Europa League (sfideranno rispettivamente Dinamo Kiev e Arsenal) e due (la solita Juventus e la Roma) ancora in gioco per accedere ai quarti di Champions, nonostante il risultato della partita di andata sia per entrambe sfavorevole. E’ una questione di stile. All’Atalanta sul campo si può rimproverare poco, capace di vincere un girone difficile con Lione ed Everton, si è arresa solo al fortissimo Borussia Dortmund. E’ allucinante però che nel 2018 ci sia ancora chi sugli spalti fa il verso della scimmia, come ha scritto ieri sera su Twitter il centravanti dei tedeschi Batshuayi, vittima degli episodi razzisti, prima di augurare ai tifosi atalantini un buon proseguimento di competizione… davanti alla tv. Ma questa è pur sempre l’Italia dove si solidarizza con i neofascisti e si cita Flaiano senza averlo letto, o ancora peggio capito.

Così come non si capisce quanto sia lucido il tecnico del Napoli Sarri quando, dopo un’eliminazione contro il modesto Lipsia, paragona la sua squadra all’Olanda degli anni ’70, sconfitta ma indimenticabile per la meraviglia del gioco espresso. Al di là del fatto che quell’Olanda era figlia di un movimento vincente, nato con il Feyenoord di Happel e l’Ajax di Michels, la nazionale orange ha perso due clamorose finali Mondiali  non due ottavi di finale del Torneo di Viareggio – per motivi probabilmente farmacologici (Germania) e sicuramente politici (Argentina). A Sarri servirebbe anche ricordare che il tanto bistrattato Mazzarri con Aronica e Zuniga vinse una Coppa Italia e passò un girone di Champions con Bayern e Manchester City, mentre lui è uscito contro lo Shakhtar in Champions, con il Lipsia in Europa League con l’Atalanta in Coppa Italia. E lo scrive chi del calcio apprezza il gioco, non i trofei.

Ma lo stile lo si dona, ai tifosi e agli appassionati, non ce lo si attribuisce nelle interviste. Paradossalmente però, le due prestazioni peggiori vengono dalla Champions. La Roma si sgretola al gelo del fronte orientale, dopo essere passata in vantaggio. E restituisce l’idea che il livello del calcio italiano oramai sia questo. Lontani da Spagna, Germania e Inghilterra, possiamo giocarcela, e perdere, contro Francia, Portogallo e Ucraina, in ordine di coefficiente Uefa. D’altronde siamo sempre quelli che non si sono qualificati per il Mondiale, perdendo nel doppio spareggio con la Svezia. Mica con l’Olanda degli anni ’70. La Juventus invece ha giocato come sa e come sempre fa con il Tottenham, tutti dietro a chiudere gli spazi, finendo con il consegnarsi all’avversario. Da noi però basta che in questo modo si batta un Chievo o un Sassuolo e cominciano a suonare le fanfare sulla squadra più forte di tutti i tempi.

In Europa invece giocando così male non vai lontano, o quantomeno non fai belle figure. Altro simbolo di questa discrasia tra il sé e l’immagine contemplata del sé è certamente Gigi Buffon, il re nudo che nessuno ha il coraggio di avvisare che è finito. Ma forse di tutto questo ci renderemo conto a giugno, quando saremo gli unici a non giocare ai Mondiali. Ora possiamo ancora farci distrarre dal campionato. Dove la Juventus, prima della gara di ritorno col Tottenham, sfida l’Atalanta e la Lazio. Mentre il Napoli, lunedì facile posticipo a Cagliari, avrà poi un bel da fare contro Roma e Inter, ma potrà concentrarsi solo sull’agognato scudetto, cui tutto ha sacrificato, non avendo più il “fastidio” delle Coppe. Se domenica Crotone-Spal rischia di essere già la prima sfida salvezza del torneo, la partitissima è alla sera, quando a fare visita alla Roma arriva un Milan in serie positiva dall’inizio del nuovo anno. Per la Roma poi trasferta a Napoli e sfida col Torino, prima di farsi immagine di un intero movimento, affrontare lo Shakhtar in casa, e stabilire se l’inverno dello scontento lascerà spazio a un accenno di primavera.