È iniziato ieri mattina alle ore 10,06 nel nuovo tribunale giudiziario della porte de Clichy in un clima di ultra-sicurezza il processo sugli attentati che hanno insanguinato Parigi tra il 7 e il 9 gennaio 2015, 17 morti in tre giorni, la redazione di Charlie Hebdo annientata, una poliziotta a Montrouge e 4 vittime all’HyperCacher alla porte de Vincennes. Un processo storico, che è filmato per restare come documento per le generazioni future, a cui partecipano più di 200 parti civili e 94 avvocati. Il presidente della corte d’assise, Régis de Jorna, ha evocato i nomi delle 17 vittime e la cronologia dei tre giorni che hanno aperto in Francia un periodo tragico, con l’attentato al Bataclan nel novembre del 2015 e poi Nizza nel 2016 e altro terrore.

La lettura della ricostruzione dei fatti del 7-9 gennaio 2015 è durata più di tre ore, non tutti nelle parti civili, vittime e famigliari degli uccisi, hanno sopportato la tensione, alcuni sono usciti dall’aula a causa della forte emozione, altri hanno avuto paura e non sono venuti.

Il tribunale ha informato che l’azione pubblica è estinta per i principali responsabili, i fratelli Chérif e Said Kouachi e Amedy Coulibaly, perché deceduti. Gli 11 imputati presenti, sui 14 accusati (due sono presunti morti in Siria, la terza, l’unica donna, Hayat Boumeddiene, è stata individuata in Siria), sono arrivati nei box in aula accompagnati da poliziotti con il volto coperto, armati. Degli avvocati delle parti civili hanno però sottolineato che sul banco degli accusati non ci sono delle personalità di secondo piano, ma i responsabili della “banalità” del terrorismo, che non potrebbe esistere senza appoggi logistici e una complicità diffusa.

L’avvocato di Charlie Hebdo, Richard Malka, ha ricordato che i redattori del settimanale «sono morti perché noi potessimo restare liberi» e ha difeso «lo spirito di Charlie Hebdo», che significa «rifiutare di rinunciare alla libertà di ridere, alla libertà di critica e alla libertà di essere blasfemi».

Il tema fa ancora discutere oggi. La vigilia, di fronte alle polemiche crescenti, Emmanuel Macron aveva ricordato che in Francia c’è la libertà di essere blasfemi. Il primo ministro, Jean Castex, ieri ha twittato: «sempre Charlie», ma Bernard Cazeneuve, che era ministro degli Interni al momento degli attentati, dubita che oggi ci sarebbe una manifestazione imponente come quella che ha avuto luogo l’11 gennaio, più di 3 milioni di persone.

Anche a sinistra, ci sono state critiche alla ripubblicazione delle vignette su Maometto nel numero in edicola di Charlie Hebdo. Un sondaggio fotografa una frattura: il 92% della popolazione francese condanna gli attentati, ma la percentuale scende all’82% tra i francesi di religione musulmana. Per il 75% dei musulmani di meno di 25 anni la religione viene prima delle leggi dello stato. Al processo, ci saranno tre settimane dedicate alle testimonianze, 144 persone saranno sentite, come 14 esperti. La sentenza è prevista per il 10 novembre.