Pubblichiamo questa lettera aperta del collettivo di «Charlie Hebdo» sulle difficili scelte successive al tragico attentato del 7 gennaio. Un esempio significativo, anche Oltralpe, dell’interesse per la forma cooperativa – di cui «il manifesto» è uno storico esemplare – come antidoto al conformismo e presidio all’autonomia e alla libertà dell’informazione. (m. ba.)

«Charlie Hebdo non è più un giornale seguito da qualche migliaio di fedeli lettori, quel giornale che qualche nostalgico dichiarato confessava di non leggere più: «Charlie? Sì, lo leggevo quand’ero giovane». Diventato un simbolo globale, Charlie Hebdo oggi ha un’identità inscritta nella carne della squadra di superstiti che ha scelto, dopo l’attentato, di riprendere la fiaccola settimanale.

Ciascuno di noi nella redazione, ma anche ogni lettore, si ritrova proprietario di un pezzetto dello spirito di Charlie, uno spirito di tolleranza e di resistenza che il giornale incarna, suo malgrado, da quel 7 gennaio 2015. L’incredibile solidarietà di tutti, il vostro sostegno straordinario, ci rende custodi, noi membri di Charlie, di una carica simbolica eccezionale. Sì, ormai siamo un bene comune.

Charlie deve andare avanti, questa è una cosa ovvia, fedele ai valori che compongono il suo Dna, nello spirito dei suoi fondatori e di coloro che sono scomparsi: una maggiore enfasi nel disegno e caricatura, la totale indipendenza di fronte a ogni potere politico e finanziario, si traducono nella partecipazione azionaria riservata ai dipendenti del giornale, senza investitori esterni e senza risorse pubblicitarie, in difesa di un modello economico alternativo che denunci tutte le forme di di intolleranza e di fondamentalismo più varie e diverse. Viviamo tutti il lutto per i nostri amici e siamo ogni giorno a fianco delle famiglie, che cercano di alleviare il dolore. Siamo ancora sotto shock per gli omicidi, ma noi abbiamo scelto di ricostruire Charlie e, quindi, abbiamo il dovere di fare la nostra parte per ricordare i nostri compagni assassinati.

Per i milioni di sostenitori, i milioni di lettori, dobbiamo continuare a lottare. Rimanere fedeli ai nostri valori. Garantire la massima trasparenza. Come possiamo continuare a vivere con questo peso sulle nostre spalle, noi che abbiamo rischiato di morire per questo giornale, noi grafici, vignettisti, amministratori, webmaster, editorialisti, giornalisti? Come possiamo sfuggire al veleno di quei milioni di euro che grazie a vendite eccezionali e a tante donazioni e abbonamenti sono piovuti nelle tasche di Charlie? Come possiamo continuare a fare questo giornale dallo spirito libero che tanto amiamo, un giornale satirico e orgoglioso delle idee che cerca di proporre?

Dobbiamo ripensare lo statuto di Charlie. Dobbiamo scegliere la forma di una società cooperativa, ne discutevamo tra noi da anni: è l’unica forma fedele all’economia sociale che Charlie ha sempre sostenuto. Il giornale non deve più essere a scopo di lucro, non deve essere un’impresa commerciale.

Questa nuova architettura deve dare a ciascun lavoratore il diritto di partecipare collettivamente a tutte le decisioni del giornale, senza elargire profitti personali: le quote sociali non daranno diritto a dividendi ma offriranno l’opportunità di essere coinvolti nel ricostruire ciò che per noi oggi è molto più di un datore di lavoro. Dobbiamo bloccare, come i nostri compagni di Le Canard Enchaine, sotto i vostri occhi e con la volontà di tutti i membri di Charlie, queste incredibili riserve finanziarie, che potranno essere utilizzate solo per garantire la sostenibilità della testata da qui a dieci, venti o trent’anni, per consolidarla e rilanciarla, per cancellare i debiti, sviluppare il giornale e modernizzarlo.

Non ci nutre l’ambizione personale, tranne quella di fare un giornale ancora migliore e di perpetuare Charlie Hebdo. La causa che difendiamo non è finanziaria, è una causa giusta e morale. Tuttavia, stiamo assistendo a importanti decisioni per il giornale, spesso fatte dagli avvocati, in cui i pro e i contro rimangono opachi.

Abbiamo sentito che è pronta una nuova formula proprietaria, dalla quale saremmo esclusi.

Non sappiamo nulla della fondazione che si sta creando ma vogliamo che sia il prodotto di una considerazione attenta da parte di tutto l’insieme del giornale. Rifiutiamo l’idea di essere diventati una preda allettante, oggetto di manipolazione politica e/o finanziaria, ci opponiamo all’idea che una manciata di individui prendano il controllo, totale o parziale, in assoluto disprezzo di quelli che Charlie lo fanno e lo sostengono.

Soprattutto, respingiamo l’idea che chi ha scritto o detto «Io sono Charlie» si svegli domani mattina con una sbornia di sporche illusioni, scoprendo che la sua fiducia e le sue aspettative sono state tradite.

La riorganizzazione del giornale e il lavoro di trasparenza sono un modo per riunire il meglio del Charlie dopo il 7 gennaio, del Charlie che dovrebbe voler ridere di fronte alle cose peggiori, piuttosto che rassegnarsi ad esse, che non teme nessun potere, un giornale affidabile e investigativo, impegnato e attento alle nuove lotte politiche e civili, che dia più spazio agli eventi culturali, letterari e di poesia del nostro secolo.

Questo è l’unico modo per recuperare le energie, le idee, la leggerezza, la capacità di creare e di proiettarci nel futuro».

Lettera aperta pubblicata sul sito di Le Monde il 31 marzo firmata dal «collettivo di Charlie Hebdo» (ma non tutti, ndr): Zineb El-Rhazoui, Simon Fieschi, Antonio Fischetti, Pascal Gros, Philippe Lançon, Laurent Léger, Luz, Mathieu Madénian, Catherine Meurisse, Patrick Pelloux, Martine Rousseaux, Jean-Baptiste Thoret, Sigolène Vinson, Jean -Luke Walet, Willem