Con perfetto tempismo nell’intercettare il periodo dei regali natalizi arriva il bel cofanetto di quattro cd Charles Mingus @ Bremen 1964 & 1975 (Sunnyside). Vi sono contenuti due concerti del geniale contrabbassista di Nogales tenuti a undici anni di distanza. Undici anni duranti i quali Charles Mingus ha percorso la curva sinusoidale dal massimo della sua potenza creativa per poi precipitare in un abisso di problemi economici, personali e psichiatrici e rientrare trionfalmente sulle scene solo per pochi anni però prima della malattia, la Sla, che spegnerà per sempre la «caldaia di emozioni». I primi due cd appartengono alla celebre tournée europea del 1964. Mingus ha un gruppo pazzesco, la cui punta di diamante è il polistrumentista Eric Dolphy. La musica è incendiaria sia nel linguaggio che nei contenuti politici. Fable of Faubus sbertuccia i razzisti americani, sfregiandogli l’inno sudista Dixie e canzonando una sequela di politici.

SI TRATTA dell’ultimo concerto al quale partecipa il trombettista Johnny Coles, costretto per un malore ad abbandonare quelli successivi a Parigi. Dolphy invece concluderà il tour per poi fermarsi in Europa e morire solo due mesi dopo a Berlino. La presa di suono non è perfetta ma la performance del sestetto è superlativa. Di gran lunga migliore è il suono del secondo concerto con il quale Mingus presenta il suo nuovo quintetto fresco dell’incisione dei due volumi Changes One e Two.

CON LUI c’è sempre il fedele Dannie Richmond alla batteria, compagno insostituibile per le altalene ritmiche impresse ai brani. Al piano Don Pullen, al sax George Adams e alla tromba Jack Warlath. I primi due formeranno, con Richmond e Cameron Brown, un fortunato quartetto negli anni a venire. I brani dei nuovi dischi si alternano a vecchi cavalli di battaglia del leader tra i quali ancora una volta Fable of Faubus, opportunamente aggiornata. Il concerto ci presenta un gruppo ispirato e composizioni bellissime. Un Mingus ai massimi livelli: la musica trasuda gioia senza perdere un pizzico della carica polemica e di denuncia.
Senza rinunciare al suo raffinato lirismo e al legame con la tradizione, qui rappresentata dalle dediche a Harry Carney e Duke Ellington, il linguaggio del leader ha inglobato le più recenti tendenze funk della musica afroamericana e si lascia abbandonare al furore dionisiaco del free nei soli di Adams e di Pullen, che qui suonano come diavoli scatenati.