Il 1 gennaio, Dilma Rousseff assumerà la presidenza del Brasile. Il 26 ottobre è stata eletta con il 51, 48% dei voti contro il 48,52% del suo avversario Aecio Neves. Resterà alla guida del paese fino al 2019. In quella data, la sua compagine (il Partito dei lavoratori – Pt -) avrà governato per 16 anni. Un secondo mandato che le forze conservatrici considerano «un crimine imperdonabile», ha detto l’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva aprendo la seconda fase del V Congresso del Partito dei lavoratori (Pt), e ha lanciato l’allarme a fronte dei tentativi destabilizzanti messi in cantiere dalle destre brasiliane.

Dopo aver dato battaglia durante un’accesa campagna elettorale, l’opposizione ha tentato di sbarazzarsi di Dilma a furor di piazza, organizzando manifestazioni subito dopo la sua elezione. Poi sono partite le bordate giudiziarie, anticipate in periodo elettorale e ancora in pieno corso: il secondo mandato di Rousseff inizia infatti all’insegna dell’affaire Petrobras, il grande scandalo per corruzione che interessa l’impresa petrolifera statale, alla cui testa Dilma è rimasta per 7 anni (tra il 2003 e il 2010). Il giudice Sergio Moro, specialista in riciclaggio e con grandi entrature negli Stati uniti, ha già messo sotto inchiesta 39 persone, che rischiano fino a vent’anni di carcere. Dilma ha negato ogni coinvolgimento, ma un recente sondaggio dell’istituto Datafolha mostra che il 68% dei brasiliani la ritiene comunque responsabile. Secondo le confessioni di Paulo Roberto Costa, un alto dirigente dell’impresa arrestato a marzo, i vertici di Petrobras avrebbero gonfiato contratti per miliardi alfine di pagare i partiti politici, incluso quello di Rousseff.

«La corruzione è un fenomeno complesso. La lotta alla corruzione dev’essere compito delle istituzioni, del governo e di tutta la società», ha affermato la presidente annunciando che il 1 gennaio illustrerà quali misure intenda prendere per «chiudere tutte le porte ai corrotti» e per trasformare «il rinnovamento di Petrobras nell’energia di un profondo cambiamento». Ma intanto, Petrobras viene chiamata in causa anche negli Stati uniti. E per la prima volta una intera cittadina – Providence, capitale dello stato di Rhode Island – accusa la compagnia e i suoi principali dirigenti di aver mentito agli investitori, di aver gonfiato il valore della petrolifera e di averne così leso gli interessi. Providence chiede un risarcimento per le perdite dei buoni acquistati tra il 2010 e il 2014 e cita in giudizio gli alti vertici della compagnia, compresa la presidente Maria das Gracas Foster. Secondo l’ex direttore di Petrobras Costa, in carica tra il 2004 e il 2012, per i contratti firmati in quel periodo, i politici hanno ricevuto una commissione del 3%.

Ma Rousseff ha difeso Foster e l’ha riconfermata nell’incarico: «Non esiste una sola prova», ha detto. Anche il suo predecessore Lula ha denunciato un piano per colpire il governo attraverso l’inchiesta: «Se oggi esiste un’inchiesta è perché il governo del Pt ha creato gli strumenti per combattere questo genere di reati», ha affermato, citando le leggi approvate contro la corruzione. E ha continuato a sostenere la presidente, nonostante la ridotta influenza dei suoi uomini di riferimento nelle decisioni del nuovo esecutivo.

Dilma è attesa al varco dalle destre, ma anche dai movimenti sociali, che le hanno dato appoggio affinché metta mano a riforme politiche di sostanza (in primo luogo a quella politica) e sostenga le alleanze regionali che mettono al centro la ridistribuzione delle risorse e la sovranità del continente. Di recente, la presidente ha ribadito l’attenzione specifica al Mercosur, ma anche «l’apertura verso altri blocchi di alleanze» animati dai paesi neoliberisti come il Messico, e rivolti all’Europa e agli Stati uniti.

Rousseff ha presentato i 13 nuovi ministri che assumeranno l’incarico il 1 gennaio. Tra le riconferme, c’è quello di una militante Pt di lunga data, la ministra per lo Sviluppo sociale e la lotta alla fame Tereza Campello. «Dilma – ha detto Campello al manifesto – è un simbolo del Brasile migliore: è stata una guerrigliera, torturata dalla dittatura, è una donna che è arrivata a essere presidente, ed è un’economista che ha portato a buon fine la principale promessa fatta da Lula quando è stato eletto per la prima volta: cancellare il Brasile dalla mappa della fame».

Campello è infatti venuta a Roma per festeggiare il fatto che, per la prima volta nella storia, il suo paese non è più fra quelli in cui si soffre la fame. Un risultato certificato dalle Nazioni unite e dalla Fao, secondo la quale «negli ultimi dieci anni, il numero di persone denutrite è diminuito dell’80%». Il Brasile – ha detto ancora Campello – «è sempre stato un grande produttore ed esportatore di alimenti, eppure aveva fame: perché escludeva gran parte dei poveri. La prima misura è stata quella di aumentare i redditi più bassi e le coperture sociali, mettendo in campo politiche pubbliche e programmi sociali in cui tutti ci hanno guadagnato».
La ministra ha mostrato con orgoglio i grafici dei risultati ottenuti dal programma Merenda Escolar, «che garantisce gratuitamente un pasto bilanciato al giorno a 43 milioni di bambini della scuola pubblica. E in questi anni si vedono già grossi risultati nello sviluppo e nella riduzione delle malattie legate alla malnutrizione». Il Brasile – aggiunge la ministra – ha fatto «grandi passi avanti nel garantire posti di lavoro, tanto che adesso abbiamo un tasso di disoccupazione a meno del 5%, il più basso della storia. E a questo punto la grande sfida è quella di garantire anche ai poveri una formazione perché possano avere accesso a lavori tecnologicamente qualificati. In tre anni, abbiamo formato già oltre 1,5 milioni di brasiliani poveri. E la percentuale di donne è molto alta». Le rivendicazioni dei movimenti? «Il governo – afferma Campello – sta compiendo un ulteriore sforzo rivolto ai piccoli produttori e allo sviluppo sostenibile. Molte persone hanno le terre ma non i mezzi per produrre. Lavoriamo a una proposta di referendum popolare per ottenere una riforma politica che è difficile far approvare in assenza di una maggioranza parlamentare. E ascoltiamo i risultati della Commissione per la verità sugli anni della dittatura».