A piazza San Giovanni e alla Leopolda si chiamano tutti per nome – Lorenza, Ivan, Giovanni, Marta, Matteo. Però, in questo trionfo del confidenziale e dell’anonimo (paradosso che ben conosce chi frequenta i social network), scopri che Ivan e Lorenza sono parlamentari, che Giovanni lavora in un cantiere del metrò di Napoli e Matteo è il presidente del consiglio. Nascono casi di omonimia. Marta della Leopolda ha 28 anni, è precaria e non ha diritto alla maternità. Marta di San Giovanni lavora alle Poste ed è stata reintegrata grazie all’articolo 18. Susanna Camusso indosserà sul palco una maglietta con su scritto “Io sono Marta”, quella di San Giovanni. Gli spin doctor di Renzi non trovano (al momento) contromosse valide. Uno a zero.

 

L’hashtag della Cgil #tutogliioincludo faceva schifo. Uno a uno. Il perché e il percome ce lo hanno spiegato tutti gli esperti di comunicazione contemporanea sui loro blog, e francamente non ce ne sarebbe neppure stato bisogno.

In mattinata, sollecitato da Repubblica web, il giovane sindaco di Firenze Dario Nardella ha modo di provare la sua superiorità in quest’arte giovane e veloce. Lancia un hashtag ai parlamentari del pd che sono andati a San Giovanni: “vieniallaleopolda”, dice. Ore dopo, una ricerca dell’hashtag su twitter restituisce la scritta più imbarazzante di tutte: “Non ha prodotto risultati”. Palla al centro.

“Imbarazzante”, invece, non è un hashtag ma Rosy Bindi che definisce a modo suo la Leopolda. Dal punto di vista comunicativo, l’irruzione della vecchia dichiarazione da tg è devastante. Di seguito, in diretta su Skytg24 la Serracchiani e Bindi litigano. E’ una “lite interna al pd”, chiosano i commentatori.

A casa, gli autori di talkshow si fregano le mani e compulsano le agende. La morte del genere può attendere, la lite imbarazzante si rifarà. Due a uno.

Chi ricorda le manifestazioni di qualche decennio fa, in piazza e indoor, dovrebbe fare una pausa di riflessione e provare a capire a che punto siamo.

Un tempo, mandare in diretta tv una manifestazione o un congresso implicava non solo un consistente sforzo tecnico, ma pure sfiancanti discussioni, interventi di commissioni di vigilanza, iniziative parlamentari. Oggi, una manifestazione senza diretta streaming gestita in proprio non si fa.

Il sindacato sbaglia l’hashtag ma va sul sicuro. Riempie piazza San Giovanni e usa il format del Primo Maggio. Chiama tre giovani sindacalisti – Giacomo, Giulia, Renata – a pronunciare i “siete bellissimi”, “siete tantissimi” di rito. Molte Marta a raccontare le loro storie, che sono vere, lunghe, imbarazzate sul serio, e perciò respect. Chiama i Modena City Ramblers, che su quel palco sono teneramente invecchiati (la giovinezza garagistica dei Renziani non è un valore discriminante qui) per garantirsi almeno un finale sicuro con Bella Ciao. Rilancia su grande schermo (troppo piccolo per la grande piazza, peccato) i falsi cinegiornali Luce d’epoca renziana di Paolo Hendel e del gruppo fiorentino Vertigo, molto circolati in Rete, carini.

 

Più difficile e curiosa, in teoria, la costruzione del format della Leopolda.

Qui si trasforma quello che nei vecchi congressi di partito era la cosa più segreta – i lavori di commissione – in un salone di tavoli, tondi, dove si discuterebbero proposte e idee geniali con esperti che poi consegneranno una “mezza paginetta” al tavolo della presidenza, cioè a Matteo che attende di fare la sintesi dietro il suo mac sopra un palco trasformato nel “garage di Steve Jobs”.

Il format prevede che a turno, da ogni tavolo, un inviato mobile munito di microfono intervisti qualcuno degli esperti al lavoro, volendo mostrare probabilmente lo spettacolo delle idee geniali, quasi come Tortora ai tempi di Portobello (che però era una trasmissione perfida sulla genialità italiana). Marcatissimo accento fiorentino.

 

La rappresentazione televisiva della “piazza” sindacale è vintage, magari nostalgica.

L’evocazione del garage di Steve Jobs sotto il tetto della Leopolda, senza farsi sfiorare minimamente dal dibattito su cosa oggi è veramente la Rete e chi sono i suoi padroni, quanto meno provinciale. Quando non sfiorata dal sospetto che Giovanni, Davide, Ivan e Deborah, siano lì a celebrare col sorriso i fasti di una nuova nomenclatura in camicia bianca.

Guardarsi il successivo servizio che il tg1 dedica il contemporaneo e tristissimo incontro di Angelino Alfano coi giovani del Ncd, per capire da dove veniamo e dove (non) andiamo. E qualcuno degli spin doctor della Leopolda pensi a nascondere meglio Davide. Davide Serra, il “finanziere delle Cayman”, secondo una definizione del vecchio Bersani.

Grazie ai cronisti e ai cameraman sottopagati di non quale tg o agenzia per averlo illuminato con uno spot in faccia, sudaticcio e tardo yuppie, mentre pronunciava cose come “amo la Leopolda perché non è di destra né di sinistra” e soprattutto “Lei mi offende, io gestisco due miliardi e mezzo all’anno dai miei investitori”, a chi gli chiedeva conto di certi vecchi conflitti di interesse del presidente del consiglio.

Crash-tag, altro che hashtag.