Fare sindacato oggi in Italia è una missione per spiriti coraggiosi. La crisi economica globale, associata alle dissennate politiche confindustriali del partito democratico, ha prodotto nel nostro paese una condizione di inedita subalternità del lavoro all’impresa.

Non è questa la sede per ripercorrere le tappe di una vera e propria débâcle dei diritti dei lavoratori (a cominciare dal famigerato decreto-Poletti fino al jobs-act). Tuttavia alcuni dati incontrovertibili raccontano la condizione del lavoro oggi in Italia.

Negli ultimi dieci anni la crescita dei lavoratori poveri è stata davvero enorme: dal 9,3 al 12,2%, vale a dire con un incremento del 30% (dati Eurostat).

Parliamo di una condizione salariale che non consente di mantenere una famiglia pur lavorando.

Parliamo di un paese, il nostro, con il più basso tasso di occupazione d’Europa, di un paese segnato da una debole ripresa dovuta a una crescita esponenziale, dal 35 al 60%, del lavoro part-time.

In questo contesto, di fronte a un tema salariale che purtroppo disegna le nuove povertà, certo non meraviglia il successo elettorale di una forza politica come il Movimento 5 Stelle che proprio di questo tema ha fatto il suo cavallo di battaglia in Italia. Così come è proprio il tema salariale a infiammare la protesta dei gilet-jaunes in Francia. Hic Rhodus hic salta.

E la Cgil di Susanna Camusso proprio su questo terreno dei diritti, come sul terreno della battaglia contro la precarietà e il lavoro povero, ha saputo tenere ferma la barra, così da presentarsi all’appuntamento importante del passaggio del testimone congressuale con le carte in regola, portando a chi le succederà alla guida della Cgil una organizzazione in buona salute.

Non sono certo stati anni facili, ma specialmente se confrontata con la situazione disastrosa in cui versa la sinistra in Italia, la vicenda della Cgil offre una visione e una prospettiva di lotta.

Da una parte abbiamo un’organizzazione sindacale che ha affrontato gli anni della grande crisi cercando di rinnovarsi sia dal punto di vista teorico (la Carta dei diritti), sia sul versante politico e della partecipazione democratica (i referendum, la consultazione tra gli iscritti e i delegati di base).

Dall’altra osserviamo un Pd ripiegato su se stesso, sull’orlo di una scissione, che stenta a rianimarsi dopo la batosta del 4 marzo, con il rito sempre più residuale delle primarie tra candidati che è assai difficile distinguere l’uno dall’altro.

Quel famoso gettone del telefono di cui parlava Renzi per stigmatizzare l’arretratezza della Cgil di Camusso a ben vedere è stato speso bene, capace di chiamare a raccolta 5 milioni e mezzo di iscritti verso l’approdo di un congresso che promette una battaglia vera, trasparente e importante per tutto il paese.