Cgil, Cisl e Uil sono contrari all’istituzione di un salario minimo orario in Italia perché «potrebbe favorire la fuoriscita dai contratti nazionali, diventando uno strumento per abbassare i salari e tutele dei lavoratori». La posizione è stata ribadita ieri in un’audizione alla commissione lavoro del Senato dove si sta discutendo sulla proposta di legge dei Cinque Stelle. Anche il Pd ne ha presentata una.

Sullo stesso tema i sindacati parleranno con gli industriali oggi alle 15,30 nella sede romana di Confindustria in via Veneto. è previsto un incontro a quattro, preceduto da un’altro con il ministro del lavoro e dello sviluppo Di Maio. Insieme faranno il punto sul «patto per il lavoro», o «patto per la fabbrica», siglato da confederali e imprenditori il 9 marzo 2018.
I sindacati hanno sottolineato che l’attenzione non va data solo alla sola paga oraria. Facendo riferimento ai rapporti salariati, di natura dipendente e subordinata, vanno considerati gli scatti di anzianità, l’inquadramento professionale e progressione di carriera, straordinari, maggiorazione turni, permessi retribuiti, ferie, festività, tutele per malattia, maternità e infortunio, tredicesima. Il problema si pone per tutti coloro che non svolgono questo tipo di lavoro. Da qui nasce anche l’insistenza dei Cinque Stelle che hanno inserito il salario minimo nel loro contratto con la Lega.

Per il segretario della Cgil Maurizio Landini, ieri al Cnel per il 60esimo anniversario, bisogna «arrivare a dare un valore erga omnes ai contratti nazionali e a una legge sulla rappresentanza. Questo sarebbe già il salario minimo». Dello stesso avviso è stato, ieri in audizione al Senato, il presidente delle Acli Roberto Rossini secondo il quale va risolta la proliferazione dei contratti collettivi «da 300 a 800 che non aiuta neanche la determinazione di una retribuzione minima, tenendo conto dei minimi tabellari di ogni contratto collettivo ».
Il «patto della fabbrica – ha detto il direttore area lavoro, welfare e capitale umano di Confindustria Pierangelo Albini nell’audizione al Senato – propone un modello di contrattazione che individui nei contratti collettivi un trattamento economico minimo, considerandolo equivalente al salario minimo inderogabile, da tenere distinto dal trattamento economico complessivo, dove verrebbero ricomprese tutte le altre voci retributive o aventi natura di corrispettivo».

Sul salario minimo ieri è intervenuto anche il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker in un discorso all’Europarlamento a Strasburgo. «Vorrei che lo si istituisse ovunque in Europa e il più rapidamente possibile – ha detto – insieme al reddito minimo». Juncker non si è soffermato su un elemento non secondario: questo «reddito» è condizionato a sistemi di politiche attive del lavoro che spesso danneggiano la libertà dei beneficiari. Come in Italia con il cosiddetto «reddito di cittadinanza»