Il congresso della Cgil ha avuto come sempre un lungo percorso di svolgimento, dalle assemblee di base a quelle ai diversi livelli categoriali e territoriali, ma a livello mediatico e di opinione pubblica, ha conquistato la scena e l’attenzione, solo nell’ultima fase con l’avvicinarsi del momento finale dell’assemblea nazionale.

Questo crescendo avviene sempre, ma questa volta due fattori hanno influito particolarmente: uno interno, l’altro esterno.

A congresso concluso e riflettori spenti si può provare a fare qualche riflessione sui due fattori che mediaticamente lo hanno caratterizzato e che si sono tradotti in due confronti personalizzati, esterno Camusso-Renzi ed interno Camusso – Landini e cercare di decifrare cosa c’è sotto e dietro questa semplificazione.

Il rapporto conflittuale sindacato-governo è organico alla natura stessa dei due soggetti ed alla rappresentanza di interessi, particolari e generali, che li caratterizzano. Ma esso ha registrato particolari asprezze quando i governi sono stati guidati da leader, come Craxi prima e Berlusconi dopo, che, ricercando un rapporto diretto col popolo ed una efficienza della loro azione di governo intesa come semplificazione e velocizzazione dei processi decisionali, hanno visto nei sindacati un ostacolo.

Con Renzi che, su questi terreni si pone in perfetta continuità con i predecessori, il conflitto non poteva non riesplodere ed il fatto che, in parallelo, altrettanto duri siano gli attacchi di Grillo al sindacato, non fa che confermare la relazione difficile tra populismi e corpi intermedi della rappresentanza sociale.

É chiaro che costituendo il sindacato un corpo intermedio di rappresentanza di interessi specifici di una parte della società, il mondo del lavoro, i populismi che vivono del rapporto diretto del leader col popolo vedano in questi corpi intermedi un ostacolo da neutralizzare soprattutto quando essi hanno la pretesa di porsi, come è soprattutto per la Cgil, come «soggetti politici» che cercano di farsi carico non solo dell’interesse specifico degli organizzati, ma anche dell’interesse generale (e non è un caso che vi sia soprattutto la Cgil nel mirino di Renzi).

Ma l’attacco al corpo intermedio sindacato è solo parte del progetto più generale di «semplificazione» dei processi decisionali che in nome della governabilità tendono a ridimensionare i partiti con la legge elettorale ed alcuni organi istituzionali elettivi con le cosiddette riforme. Quindi governabilità versus rappresentatività e democrazia: è questo il cuore della linea di questo governo – e, purtroppo, dobbiamo dire, vista l’acquiescenza della grande maggioranza di quel partito, di questo Pd – dentro il quale si inscrive lo scontro col sindacato.

La resistenza della Cgil della Camusso non può, sotto questo aspetto, che essere apprezzata anche fuori dai confini del sindacato, ma questo non significa che sul versante sindacale tutto va bene né tantomeno che tutto può continuare come prima. É anche vero, infatti, che l’attacco dei populismi al sindacato trova terreno fertile nella crisi di rappresentanza che esso vive e nelle debolezze che in questi anni esso ha avuto proprio di fronte al neoliberismo avanzante (come dimenticare le iniziali simpatie di Renzi e Fassino per Marchionne e la timidezza della Confederazione che ha spesso lasciato sola la Fiom?)

In questa debolezza l’attacco al sindacato attecchisce perchè la forza diminuita della rappresentanza fa apparire la posizione odierna come difesa di corpi burocratici mossi dall’interesse di conservare  se stessi piuttosto che difendere i propri rappresentati. Come reagire allora? Certo che la Cgil deve difendere il proprio ruolo, ma se non si ricostruisce la forza della rappresentanza sarà difficile resistere  in mezzo al fuoco incrociato dall’alto del governo e del Pd e dal basso del vasto popolo del disagio sociale e del non lavoro.

Sappiamo tutti che, anche per la scomparsa di una sinistra politica, non ci sono soluzioni facili, ma quando il popolo del non lavoro supera i 7-8 milioni di persone o si sceglie un mix di rilancio dell’economia + redistribuzione del lavoro + redditi di cittadinanza (i tre pilastri di cui abbiamo parlato) per riproporsi come rappresentanza credibile dei variegati soggetti del lavoro e del non lavoro o si cercano insieme e con urgenza altre risposte coraggiose ed unificanti. Una cosa è certa: il sindacato non può farsi rinchiudere nel recinto della difesa del proprio ruolo, ma deve contrattaccare inchiodando, politica e governo, alle loro responsabilità e le 4 proposte di vertenze/riforme uscite dal congresso possono costituire l’inizio di questa nuova fase.

In questa crisi di rappresentatività si inscrive la contrapposizione interna alla Cgil. Se si sfronda la contrapposizione Camusso-Landini dalla personalizzazione e dalla strumentalizzazione di chi la alimenta per ripetere nel sindacato una modalità di rottamazione che ha travolto non solo persone, ma idealità e valori, cambiando la natura stessa di una organizzazione, emerge dal congresso una esigenza innegabile: i problemi che stanno oggi davanti al sindacato sono troppo grandi per poterli considerare risolti dal voto e dall’elezione degli organismi dirigenti.

Richiedono un aggiornamento dell’analisi del mondo lavoro di oggi, di ridisegnarne la mappa, di riaprire una ricerca ed una discussione di massa su come rappresentare la molteplicità e varietà di interessi; richiedono, insomma, di proseguire il dibattito appena aperto e portarlo nella prossima conferenza di organizzazione che, come è stato detto non potrà essere solo un momento tecnico-organizzativo.

Si potrebbe, così, aprire una fase positiva di lotte e di elaborazione collettiva e, dopo le elezioni, è auspicabile che il quadro politico, nel Pd ed a sinistra, si chiarisca meglio perché i problemi che il mondo del lavoro sta vivendo non possono essere caricati e scaricati solo sulle spalle del sindacato.