Di simbologie se ne possono trovare quante se ne vogliono: la più eloquente è sicuramente la consegna dello scettro del Pd da Guglielmo Epifani – predecessore di Susanna Camusso – al nuovo che avanza, Renzi. Dentro la Cgil brucia la disfatta del cavallo su cui praticamente tutto il sindacato (perlomeno quello che vota Pd, e soprattutto ai piani alti) aveva puntato: il buon Gianni Cuperlo. Che se nessuno forse aveva la speranza di condurre alla vittoria, nei corridoi di Corso d’Italia si confidava però di spingere almeno un po’ più in alto.

E invece nulla: ha vinto la «bestia nera» della Cgil, quel Matteo Renzi che più volte ha attaccato il sindacato e con cui bisognerà adesso fare i conti. Certo, mai banalizzare: molti nella base forse lo avranno pure votato, il sindaco. E dall’altro lato forti simpatie (soprattutto tra i più giovani e radicali) erano riservate anche a Pippo Civati. Mentre tra i più rebels ed eclettici c’è sicuramente chi tifa per Grillo. Ma al di là di tutto, questa per la Cgil è certamente una sconfitta, davvero una grossa botta.

Ora, non è detto che si possa chiudere tutto in un botto un rapporto di decenni, che ha visto sempre legati in via preferenziale il sindacato «rosso» con il maggiore partito di sinistra (la famosa “cinghia”, dal Pci in giù), e in Italia c’è troppa abitudine a una contiguità stretta tra partiti e sindacati. Ma certo le varie stilettate di Renzi hanno contribuito a creare una spessa parete di gelo reciproco, non ultimo l’«appello» lanciato nel discorso di incoronazione, due sere fa: «Adesso anche il sindacato cambi: non deve essere più possibile che si faccia carriera in politica perché si ha in tasca una tessere sindacale».

Né appaiono di prammatica, come si fanno sempre (e sempre si sono fatte) le dichiarazioni dei leader della Cgil che tengono ora a sottolineare la «necessità di un dialogo con Renzi, ma nella reciproca autonomia». La parola «autonomia» nella storia dei rapporti politica-sindacato è sempre stata un classico, perlopiù abusato: ma ora prende un sapore nuovo, forse più autentico.

E non è detto che sia un male, anzi. Susanna Camusso ha subito scritto una lettera di congratulazioni a Renzi, ma dietro i complimenti di cortesia c’è una frase che parla più di tutte: «Nella Cgil – scrive la segretaria – se vorrai e se saprai rispettarne il ruolo di rappresentanza di lavoratori e pensionati, troverai un interlocutore forte, autonomo, propositivo che saprà dialogare ed esprimere sempre con trasparenza e chiarezza le divergenze come il consenso». Si chiede rispetto, dunque.

Un dialogo che certamente sarà difficile, tanto più visto che la Cgil si avvicina velocemente al suo Congresso (7-8-9 maggio 2014). È vero che il sindacato ci arriva con una compattezza così granitica che è difficile trovare precedenti: ben il 98% appoggia il documento della maggioranza, mentre un restante 2% sta con il documento dell’area cremaschiana. Il dibattito si svilupperà attraverso gli emendamenti, e categorie «più a sinistra», come la Fiom, la Flc, la Fp, insistono soprattutto su tre punti: 1) un reddito minimo garantito (nel sindacato da molti non ben visto: gli si preferirebbe la garanzia della piena occupazione); 2) un contratto forte, a partire da quello del pubblico impiego; 3) una decisa rivisitazione delle ultime riforme pensionistiche, per tornare a garantire l’efficacia del pilastro pubblico.

E se per ora non si è visto nessuno dei dirigenti Cgil indossare il mantello di Renzi all’annuncio della sua vittoria, è facile immaginare che dei riposizionamenti ci saranno, e che emergerà (come peraltro è legittimo) un’area «renziana», finora però non pervenuta. Ma il problema è capire come la maggioranza della Cgil, fino a oggi di ispirazione bersaniana (e perciò schierata con Cuperlo), si farà permeare dai nuovi temi cari al sindaco di Firenze, sensibile al liberismo e a un ruolo del sindacato poco conflittuale e molto «light».

Carla Cantone, segretaria dei pensionati Spi, che si era schierata apertamente con Cuperlo (innescando un vespaio di polemiche interne), ieri ha ribadito di essere «orgogliosa» della sua scelta: «La rifarei – dice – Con Renzi ora confrontiamoci, in autonomia, sulla legge di stabilità: servono risposte per i pensionati».

Mimmo Pantaleo, segretario di Flc (scuola/università), parla anche lui di «una maggiore autonomia»: «Renzi ha spesso detto cose che non ci sono piaciute, e che anzi rimandiamo al mittente: il sindacato resta un baluardo della democrazia, l’unica difesa per i lavoratori, soprattutto i più deboli. Non condivido neppure le sue posizioni sul lavoro, vicine a Ichino. Però ho apprezzato che voglia aprire un dibattito su scuola, ricerca e università: speriamo nella direzione del pubblico, perché si torni a investire nei beni comuni».