La proposta di legge della Cgil sugli appalti ieri è arrivata in Parlamento: la segretaria generale Susanna Camusso, accompagnata da una delegazione del sindacato, è stata ricevuta dalla presidente della Camera Laura Boldrini a Montecitorio, dove sono state consegnate le 175 mila firme raccolte pazientemente negli ultimi mesi in tutta Italia.

Boldrini ha mostrato di apprezzare il tema e la forma sotto cui la Cgil ha presentato la sua proposta – appunto l’iniziativa popolare – ma ha ammesso che purtroppo questo strumento riceve scarsissima attenzione da parte del Parlamento: «Si tratta di un tema di grande rilievo in una situazione che vede purtroppo premiata la logica del massimo ribasso, messa in atto persino dalle pubbliche amministrazioni e tale da accentuare il fenomeno già pesante delle delocalizzazioni – ha detto la presidente della Camera – È un importante esercizio di partecipazione e di politica attiva, e dunque trovo grave che le proposte di iniziativa popolare ricevano così scarsa attenzione nei lavori parlamentari».

La proposta tocca un nodo importante del lavoro, perché come spiega la stessa Cgil, gli appalti pubblici rappresentano più del 15% del Pil nazionale, e al 2% del Pil ammonta la variazione dei costi annuale. Gli appalti e subappalti coinvolgono circa 3,5 milioni di lavoratori. La Cgil, con la sua proposta, chiede che il legislatore si concentri su tre punti principali: 1) la responsabilità in solido dell’ente appaltante rispetto a tutta la filiera di appalti e subappalti; 2) il rispetto della cosiddetta «clausola sociale» nel cambio di appalto; 3) tutelare i lavoratori dalle ulteriori strutture introdotte dal Jobs Act.

Sul primo punto, la responsabilità in solido, ecco cosa dice la proposta: «In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro o pubblica amministrazione è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali, i premi assicurativi, i contributivi agli enti bilaterali, ivi compresa la Cassa edile, ai fondi sanitari e ai fondi di previdenza complementare dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili». Importante anche il tema della clausola sociale: tanti settori oggi ne sono sprovvisti, mentre in un mercato sempre più basato sulla concorrenza e sulle “missioni brevi” delle imprese, che chiudono, riaprono, perdono e guadagnano appalti altrove (vedi ad esempio i call center), sarebbe importante che i dipendenti fossero garantiti. Ecco uno degli articoli chiave: «L’appaltatore subentrante ha l’obbligo di assumere i dipendenti già occupati nell’appalto, ove ciò sia previsto e nei limiti dettati dalla contrattazione collettiva applicabile a entrambe le imprese o dal capitolato di appalto. In ogni caso di violazione dell’obbligo di assunzione da parte dell’appaltatore subentrante dei lavoratori già occupati nell’appalto, da qualunque fonte previsto, il lavoratore interessato ha diritto di agire per la costituzione del rapporto di lavoro in capo all’impresa e per il risarcimento di ogni danno subito per effetto di tale inadempimento».

Quanto al Jobs Act, c’è da segnalare infine una enorme convenienza acquisita dalle imprese dopo l’entrata in vigore della legge, che specularmente rappresenta anche una perdita di tutele e diritti per i lavoratori: i dipendenti che perdono il posto legato a un appalto, e vengono poi assunti da altra impresa che magari continua quello stesso lavoro, perché è risultata la nuova vincitrice della gara, perdono l’articolo 18 e si vedono riassunti con contratto a tutele crescenti. Una fregatura non da poco.

Ugualmente, in particolare l’articolo 7 del decreto del Jobs Act sul contratto a tutele crescenti, “Computo dell’anzianità negli appalti”, lega l’eventuale risarcimento economico alla reale durata del servizio del lavoratore nell’appalto, «dando per scontato – lamenta la Cgil – che nelle stazioni appaltanti non esistano anzianità e diritti acquisiti». Anche qui, una bella fregatura.