Mentre il Ttip sembra in netta difficoltà (ma massima attenzione ai colpi di coda di una sua approvazione «light» – ministro Calenda lancia in resta – nel prossimo incontro del 3 ottobre a New York), diventa sempre più concreto il «piano B» delle grandi multinazionali e delle lobby finanziarie per far rientrare dalla finestra quello che per ora, grazie alla straordinaria mobilitazione internazionale, sembra faticare a entrare dalla porta.

Stiamo parlando del Ceta, ovvero dell’accordo di libero scambio tra Ue e Canada, che il prossimo 27 ottobre verrà ufficialmente firmato per giungere al voto del Parlamento europeo entro dicembre.

Si tratta del primo vero accordo commerciale su larga scala dell’Ue con una grande nazione occidentale, il Canada, e promette vantaggi commerciali per 5,8 miliardi di euro all’anno, un risparmio per gli esportatori europei di 500 milioni di euro all’anno (grazie all’eliminazione di quasi tutti i dazi all’importazione) nonché – ca va sans dire – 80mila nuovi posti di lavoro.

Dunque qual è il problema? Lo stesso del Ttip e di tutti gli accordi di libero scambio, che servono a mettere in sicurezza il modello liberista, ponendo definitivamente i profitti e gli interessi delle grandi imprese fuori dal Diritto e dai diritti.

Credo sia chiaro a tutti come l’approvazione del Ceta, oltre che un danno di per sé, diventerebbe il vero cavallo di Troia per far passare, nei fatti prima ancora che nella normativa, il Ttip.

A Ceta approvato, la maggior parte delle multinazionali americane, già attive sul territorio canadese, potranno citare in giudizio nei tribunali internazionali privati le aziende europee, avvalendosi della clausola Ics (Investment court system, ovvero il sistema giudiziario arbitrale per la difesa degli investimenti), omologo all’organismo arbitrale inserito nel Ttip.

Sarà il Parlamento europeo a rappresentare le preoccupazioni dei cittadini? Come per tutti gli altri trattati, anche il Ceta è stato negoziato con il minimo coinvolgimento dei parlamentari europei e l’accordo, composto da più di 1.500 pagine, è stato reso disponibile in tutte le lingue dell’Unione solamente dal luglio 2016.

Saranno i Parlamenti nazionali a non ratificare un accordo che viola i diritti sociali e del lavoro, privatizza i beni comuni e mette a rischio la sicurezza ambientale e alimentare? Naturalmente, la gran parte dei parlamentari non sa nemmeno di cosa si stia parlando, ma nel caso avessero intenzione di informarsi per poter decidere, ecco servito per loro l’ennesimo attentato alla democrazia: è notizia recente l’appello di 41 Parlamentari europei – in prima fila Alessia Mosca del Pd – che chiedono che il Ceta entri in vigore senza la ratifica dei Parlamenti nazionali.

Dovrà essere ancora una volta la mobilitazione dei cittadini a fermare il Ceta, il Ttip e tutti gli accordi che vogliono che diritti, beni comuni e democrazia siano considerati variabili dipendenti dai profitti.

Sarà un autunno caldo e la mobilitazione per fermare Ceta e Ttip non potrà che incrociare la battaglia per il No al referendum costituzionale.

Perché entrambi parlano di democrazia: una cosa troppo seria per lasciarla in mano agli interessi finanziari.